Decreto dignità, retromarcia di Di Maio: «Modifiche? Il Parlamento è sovrano»

4 Lug 2018 15:21 - di Valerio Falerni

“Decreto dignità: ciak si rigira”. A giudicare dalle ultime dichiarazioni di Luigi Di Maio, nulla di più facile che la rassegna stampa mattutina gli abbia mandato di traverso la prima colazione. Diversamente, non avrebbe aperto – seppur tra mille cautele e altrettante reticenze – alla possibilità di «migliorare» il cosiddetto “decreto dignità”. Un provvedimento che nelle intenzioni del vicepremier grillino doveva servire a fargli recuperare le posizioni perdute in favore del suo dirimpettaio nel governo, cioè Matteo Salvini, ma che è invece è riuscito a battere il record di reazioni negative.

Il testo di Di Maio non piace a nessuno

Non una sola sigla del mondo del lavoro, cui il decreto pur e rivolto, ha speso parole di approvazione. Al contrario, industriali, artigiani, commercianti, somministratori e via elencando hanno fatto a gara nell’evidenziare il salto all’indietro compiuto dal governo. «Più che un cambiamento un tuffo nel passato», è l’eloquente titolo dell’editoriale del Sole 24 Ore, voce della Confindustria, cui non va giù il taglio dei contratti a termine da 36 a 24 mesi. Come a dire: se questo è il rinnovamento, ridateci il calesse. In un contesto come questo, era perfino scontato che Di Maio riprovasse a girare la scena daccapo pur ribadendo che il M5S «sarà argine» contro qualsiasi «tentativo di annacquare» le norme del decreto. La sostanza politica, tuttavia, sta tutta nella prima parte della dichiarazione: «Il Parlamento è sovrano. Se le modifiche vanno nell’ottica del miglioramento troveranno nel M5S una forza politica disponibile al dialogo se invece se si vogliono annacquare le norme che abbiamo scritto, se si vuole annacquare la norma sul gioco d’azzardo, sulle delocalizzazioni, tutto l’impianto contro la precarietà allora il M5S sarà un argine».

Le perplessità della Lega

È il solito copione simil-intransigente che si recita ogni qualvolta si è costretti a calare le braghe. Di Maio sa che dovrà farlo, ma non vuole rinunciare a quel briciolo di dignità che in casi come questo è una sorta di minimo sindacale. E infatti nella seconda parte annuncia: «Non si arretra sulla precarietà, sulla sburocratizzazione, sulla lotta sul gioco d’azzardo e sulla la lotta alle multinazionali che delocalizzano dopo aver preso soldi dallo Stato». Troppe parole per un decreto già licenziato dal governo. È chiaro che segnalano il timore che il testo non passerà indenne l’esame delle Camere. La Lega non lo condivide fino in fondo e, come ha ricordato lo stesso Di Maio, il Parlamento è sovrano.

 

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