Strage di Bologna, gli esilaranti show dei pentiti contro Cavallini

11 Lug 2018 19:05 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Che nel corso di un processo, di un processo importante, per giunta, ancora oggi si pensi di potersi avvalere di testimonianze come quelle ascoltate oggi al processo a carico di Gilberto Cavallini per la Strage di Bologna, dimostra solo il grado di stravaganza a cui è giunto il sistema giudiziario italiano. Anche a voler accordare la più completa buonafede a “pentiti” del calibro di Paolo Aleandri e Gianluigi Napoli, il senso di aberrazione che si prova nell’ascoltarli è totale. Il primo, per esempio, esordisce in questa sua seconda seduta d’interrogatorio – iniziato due settimane or sono e interrotto anche da una pausa nel calendario delle udienze – specificando di aver militato nell’area della “eversione di destra” fino all’ottobre del ’79 e, di conseguenza, di non avere cognizioni dirette su alcun fatto successivo a quella data: allora, perché chiamarlo per un attentato del 2 agosto dell’anno successivo? Ovviamente, come è frequente nella storia del terrorismo e di quello di destra in particolare, perché dopo il “pentimento” e sopra a tutto in carcere avrebbe raccolto voci, confidenze che gli avrebbero permesso di meglio inquadrare i fatti della “eversione nera”. Anche se, per la verità, attualmente non ricorda quasi più nulla di quello che testimoniò in passato, confermando, però, tutte le deposizioni rilasciate negli anni precedenti. Oddio, non sempre confermando esattamente tutto, come nel caso delle vicende relative a Paolo Signorelli, tanto per citare un esempio: oggi Aleadri – circa la partecipazione del professore all’assassinio del giudice Mario Amato – ricorda solo voci generiche; quando Signorelli fu chiamato a rispondere di quell’episodio, lo stesso Aleandri aveva memoria tanto più precisa del coinvolgimento dell’imputato, tanto che le sue parole furono determinanti per farlo condannare all’ergastolo in primo grado. Poi, il tempo è galantuomo, Signorelli venne assolto in via definitiva e, quindi – essendo anche cambiata la normativa sulle testimonianze e sui rischi nelle chiamate in causa o in correità -, la genericità delle deposizioni è diventata, più che consigliabile, anche “salutare”. Col Napoli, poi, si sconfina nella “commedia dell’arte”: ex-militante del FdG alla fine degli anni ’70, viene arrestato due o tre volte per ragioni politiche, l’ultima proprio nella strage, nella famosa e grande retata del 28 agosto 1980. Resta in carcere, complessivamente, circa un anno e mezzo, ma esce pulito da tutto e non rilascia – prima, dopo e durante la detenzione – dichiarazioni degne di nota. Passano pochi anni e il Napoli viene coinvolto e arrestato, in due successive occasioni, per reati comuni, legati a grossi traffici di stupefacenti. Siamo nel 1985 e il Nostro, allora, vedendosi spalancare ai suoi occhi nuovamente le porte del carcere, decide di “pentirsi”. Di cosa? Della sua partecipazione allo spaccio della droga, dei suoi rapporti con la criminalità comune? No, ovviamente delle precedenti vicende politiche, mettendo nero su bianco – in una decina o forse più di deposizioni – una “summa” delle sue conoscenze sulle “trame nere” che, ad ascoltarle, sembrano più che altro una sintesi delle informazioni che chiunque potrebbe desumere da una rapida consultazione di Wikipedia. E senza neppure essere stato protagonista di alcunché di ciò che allora e ancor oggi racconta, al punto da dover ammettere – prima ancora che ai difensori di Cavallini, Gabriele Bordoni e Alessandro Pellegrini, al pubblico ministero Enrico Cieri, il quale ha richiesto queste precisazioni al teste con un tono insolitamente irritato – di poter riferire in aula, ieri come ora, solo fatti e commenti ascoltati da altri. In particolare, i racconti di Napoli avrebbero tutti origine da confidenze di Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini e Giovanni Melioli. Tutti e tre, ovviamente, morti da tempo. La domanda – a cui si collega naturalmente la considerazione espressa all’inizio -, quindi, è spontanea: è serio, può essere preso seriamente un processo così impostato? Per rispondere, c’è tutta l’estate – le udienze sono ora sospese fino a settembre, mentre oggi sono iniziate le operazioni peritali di natura chimico-esplosivistica sui reperti dell’attentato -, ma non si può non chiudere, se non ribadendo che, dall’inizio a questa prima sospensione vera del dibattimento, un solo elemento nuovo che giustifichi questo ennesimo processo a Cavallini ancora non è emerso.

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