Morta di malaria: Sofia fu contagiata dal sangue delle bimbe africane

4 Nov 2017 14:04 - di Carlo Marini

Non è stata la puntura di una zanzara a uccidere Sofia Zago, la bimba di 4 anni morta il 4 settembre per malaria a Brescia. Dalle prime indiscrezioni, i risultati delle analisi compiute dei periti della Procura di Trento forniscono novità clamorose. E vanno a dare indirettamente ragione a quanti vedevano un nesso tra la presenza di alcuni immigrati malati di malaria nell’ospedale di Trento e il contagio con la piccola Sofia.

Malaria, il contagio dalle bambine del Burkina Faso

Nei giorni in cui Sofia si trovava ricoverata in ospedale, c’erano anche due bambine afflitte da malaria, poi guarite. In un primo momento gli esperti avevano optato per l’ipotesi della “zanzara nella valigia” dei pazienti giunti dal Burkina Faso. Oltre alle due bimbe africane in pediatria, ricoverate nel reparto adulti all’ospedale di Trento, c’erano anche la mamma e un fratello più grande, adolescente, delle due piccole. Entrambi, come le bambine di 4 e 11 anni, sono guariti e sono stati dimessi. Ora emerge un’altra sconvolgente verità. Una procedura medica sbagliata, compiuta durante il prelievo. Quindi il sangue di una delle due bimbe ha contaminato quello di Sofia. Un fatale incidente, dunque, avvenuto tramite un ago utilizzato in modo scorretto.

“La malaria trasmessa da un ago infetto”

Gli inquirenti stanno per giungere a queste conclusioni sulla base degli accertamenti disposti dalla Procura di Trento. A dar man forte a questa tesi i Nas, l’Istituto superiore di sanità e l’Istituto zooprofilattico del Veneto. Solo così si spiega come mai il ceppo del parassita, il Plasmodium falciparum che ha ucciso Sofia, sia risultato identico a quello delle due ospiti del Burkina. La Procura indaga per omicidio colposo contro ignoti. Ci sono state dunque falle nella profilassi della struttura sanitaria di Trento. Sul nesso tra immigrati e malaria si era scatenata una battaglia politica. I fatti stanno dando torto ai “buonisti” che negano anche l’evidenza. In questo caso, il nesso c’è. E  le analisi della Procura lo confermano.

 

 

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