Maledetti ma troppo geniali, gli autori collaborazionisti oltre ogni censura

23 Ott 2017 15:36 - di Redattore 54

Scrittori maledetti o pensatori incompresi? Sognatori da assolvere o complici delle nefandezze dei totalitarismi del XX secolo da condannare senza appello? E’ la domanda che percorre il libro del giornalista Andrea Colombo dal titolo I maledetti. Dalla parte sbagliata della storia (Lindau) che offre al lettore un profilo biografico e di inquadramento storico di poeti, intellettuali, artisti e operatori culturali che a vario titolo furono coinvolti con il fascismo e con il nazionalsocialismo.

Su molti dei nomi studiati da Colombo grava ancora una damnatio memoriae non scalfita dal tempo, su altri il pregiudizio è caduto lasciando spazio ad analisi più riflessive e distaccate. Del resto, come avverte l’autore, gli stessi intellettuali che avevano creduto nel sogno nazionalrivoluzionario di Hitler e Mussolini scelsero destini diversi nel dopoguerra: “C’è chi fuggirà da quel sogno diventato incubo, e tenterà di nascondere per tutta la vita le sue simpatie giovanili, come Lorenz. Chi invece, come Evola, non rinuncerà alle sue idee neanche dopo il 1945… Pound, infine, negli anni della vecchiaia si chiuderà in un mutismo enigmatico. Un tempus tacendi che segnerà la fine definitiva del tragico sogno“.

Differente la sorte degli scrittori collaborazionisti: Robert Brasillach (che l’autore inserisce tra i rappresentanti del nazismo gay) dovrà affrontare il plotone d’esecuzione il 6 febbraio del 1945, un mese dopo Céline e sua moglie fuggono a Copenaghen, dove lo scrittore francese sarà arrestato a dicembre, il 23 aprile dello stesso anno Ezra Pound pubblica l’ultimo articolo per la stampa della Rsi, intitolato “Appunti economici: brani d’attualità” per essere poi a sua volta arrestato il 3 maggio a Rapallo, nel maggio dello stesso anno Leni Riefenstahl viene fatta prigioniera prima dagli americani e poi dai francesi mentre Knut Hamsun, prima di essere internato in un manicomio criminale a Oslo, farà in tempo il 7 maggio a dettare un necrologio per Hitler in cui definisce il dittatore “pioniere dell’umanità”. L’anno seguente, a dicembre, il grande filosofo Martin Heidegger sarà interdetto dall’insegnamento in quanto dichiarato dalla commissione di epurazione un “nazista tipico”.

Il poeta Gottfried Benn dovrà attendere gli anni Cinquanta per una completa riabilitazione, molto meno di Giovanni Gentile (ucciso da un partigiano nel 1944) il cui pensiero e la cui dirittura morale saranno rivalutati e compresi a pieno solo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento grazie agli studi di Augusto Del Noce e poi di Sergio Romano. L’etologo Konrad Lorenz farà dimenticare la sua giovanile adesione al nazionalsocialismo capeggiando i cortei ecologisti contro il nucleare, lo storico delle religioni Mircea Eliade, titolare di una cattedra a Chicago, sarà perseguitato dai fantasmi del suo passato di aderente alla Guardia di Ferro grazie a un dossier contro di lui pubblicato in Romania nel 1972.

Ma i nomi di questi personaggi dicono molto di più del coinvolgimento politico durato una stagione: parlano per loro le opere scritte, i pensieri lasciati in eredità oltre le etichette, la fulminante genialità di cui nessuno vuole ancora privarsi nonostante i tardivi ostracismi.

E così questi “maledetti” attraverseranno il dopoguerra sempre camminando tra le minacce di un’oscurantista censura, ma prendendosi qualche rivincita, come quando Leni Riefenstahl venne a Roma negli anni Novanta per una mostra di sue fotografie su una tribù africana invitata dall’assessore alla Cultura (Gianni Borgna) di un sindaco di sinistra. Ma ancora nel 2007 Jodie Foster dovrà rinunciare a fare un film su questa regista geniale cui la storia del cinema deve moltissimo. L’impronta di maledetti non si cancella, allora, ma più che rappresentare un marchio d’infamia diviene stigma di grettezza intellettuale, di incapacità di riconoscere il vero talento e di liberarsi degli spettri del passato.

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