Si riaprono le indagini sulla morte del parà Emanuele Scieri: fu nonnismo?

27 Set 2017 16:44 - di Monica Pucci

«Ci sono “elementi concreti” che spingono a riaprire le indagini sulla morte del parà Emanuele Scieri, trovato morto il 16 agosto del 1999, ai piedi della torretta dell’asciugatoio dei paracadute della “Gamerra”, la caserma della Folgore di Pisa». È quanto ha reso noto Sofia Amoddio, presidente dem dell’Organismo di indagine parlamentare, durante la conferenza stampa alla Camera, spiegando di aver presentato alla Procura di Pisa una “richiesta motivata” di riapertura delle indagini sulla morte del parà. Secondo quanto appurato dalla Commissione “elementi concreti” e di novità sono stati raccolti nel corso dell’indagine, durante le numerose audizioni fatte, di cui alcune secretate. «Abbiamo lavorato con forza nella ricerca della verità – ha assicurato Amoddio – nella consapevolezza che le responsabilità penali sono individuali e con pieno rispetto e considerazione nei confronti delle forze armate».

Scieri, il parà della Folgore morto dopo un volo…

Emanuele Scieri, 26enne siciliano, nell’estate del 1999, dopo la laurea in giurisprudenza, parte da Siracusa alla volta di Pisa, per svolgere il servizio di leva. La sua destinazione, dopo il Car a Scandicci, dove mette piede il 21 luglio, è la caserma “Gamerra” dei paracadutisti della “Folgore”, dove le sue tracce si perdono, però, la sera del 13 agosto. Al contrappello delle 23.45 Scieri, infatti, non si presenta. Assente anche il 14 e per Ferragosto, senza che alcuno sembri preoccuparsi della cosa. Il 16 agosto il corpo del giovane siciliano viene rinvenuto, senza vita, ai piedi della torretta dell’asciugatoio dei paracadute della “Gamerra”. Un volo di 12 metri che, secondo le prime ricostruzioni, non uccise subito Scieri, morto dopo una lunga agonia, forse iniziata tre giorni prima, proprio nella notte del 13 agosto. Il cadavere è “nascosto”, lontano dal posto di caduta: con le stringhe delle scarpe slacciate e la colonna vertebrale spezzata. Sul corpo, nelle mani, abrasioni come se fosse stato calpestato. Una morte inquietante, che fa pensare subito ad un atto di nonnismo, o almeno a qualcuno che ha visto e sa cosa è successo, ma non parla. I genitori del giovane vengono avvertiti mentre sono in vacanza a Noto. Per Corrado Scieri, che morirà nel 2011, e la mamma Isabella Guarino, inizia il dramma nel dramma, perché le prime domande sono se il figlio avesse problemi e se potesse essersi suicidato. Una ipotesi che i due non accetteranno mai, alla ricerca di una verità che, di fatto, non è mai arrivata. I familiari del giovane puntano il dito contro il muro di omertà entro la “Gamerra”. Corrado Scieri e Isabella Guarino, pubblicheranno poi un libro sulla vicenda del figlio, nel 2007, (“‘Folgore di morte e di omertà”), accusando la caserma pisana dei parà di essere stata prima “un mattatoio”, e poi “una centrale di omertà da fare impallidire ‘Cosa nostra'”. 

«Ancora una volta la giustizia italiana – scriveranno i due – ha dimostrato di essere una pseudo-giustizia all’italiana: delitti senza colpevoli, casi irrisolti, archiviazioni invece di verità, fantasmi alposto di imputati, generiche ipotesi invece di accertamenti”. Anche dalla Procura di Pisa si punta subito il dito contro il muro di omertà che circonda la morte del giovane: «L’omertà è degli infami che si sono resi responsabili di questo atto. Il mio è un appello pubblico, è un richiamo al senso di civiltà, di onestà morale alle persone che sanno e invece tacciono. Io invito tutte queste persone a farsi avanti»’, dice pochi giorni dopo la tragica scoperta del cadavere, Enzo Iannelli, procuratore capo di Pisa, che indaga sul caso. «La Procura della Repubblica, che ha seguito ogni pista senza giungere a nessun chiarimento del caso – spiega – è in attesa di notizie». Ma l’appello resta senza risposta. L’inchiesta giudiziaria non arriva a dibattimento: non c’è nessuna prova che ci sia un colpevole della morte del giovane. 

L’esercito indaga, ma senza alcun risultato

L’esercito, intanto, poche settimane dopo il fatto, avvia una commissione d’inchiesta presieduta dal maggiore generale Giancarlo Antonelli, per fare luce su eventuali responsabilità disciplinari e di comando. L’inchiesta sommaria della commissione non entrerà nel merito delle questioni giudiziarie relative all’inchiesta penale in corso, ma si limiterà ad accertare le eventuali responsabilità del personale militare, mai trovate. Dopo le ispezioni e dopo aver ascoltato tutti i militari che potevano essere a conoscenza dei fatti, non si arriva però ad alcun risultato di rilievo.

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