Uranio impoverito, «I soldati italiani in Kosovo bevevano acqua cancerogena»

5 Lug 2017 13:22 - di Valeria Gelsi
uranio

L’acqua che bevevano e l’aria che respiravano i militari italiani in Kosovo erano contaminate, «cancerogene». Ed è stato così «almeno fino al 2016». A denunciarlo è stato il medico militare Ennio Lettieri, durante l’audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’uranio impoverito. Si tratta della quarta Commissione istituita sul caso, senza che le prime tre arrivassero a una conclusione, mentre il bilancio di decessi e malattie tra i nostri soldati arrivava a numeri da strage: 340 morti e 4mila ammalati.

I soldi italiani esposti ad acqua e aria cancerogene

Lettieri ha riferito alla Commissione che «l’acqua analizzata nel 2015 e presente fino al 2016 conteneva bromato, cancerogeno di classe 2B, in quantità di 65/67 microgrammi-litro, a fronte di un limite di 10» tollerato. Inoltre «dalla base di Film city sono ben visibili le ciminiere della compagnia elettrica Kek», ha aggiunto il medico militare, sottolineando che «soprattutto la sera c’era aria giallognola che rendeva l’aria malsana e irritante per le vie respiratorie». Acqua e aria cancerogene, dunque, cui i militari italiani sarebbero stati esposti per anni.

La contaminazione da uranio impoverito

Di uranio impoverito, con cui sono fatti i proiettili di artiglieria pesante, che perforano i tank ma non reggono le alte temperature, rilasciando le loro particelle cancerogene, i nostri soldati muoiono ancora. Un destino di cui ci restano testimonianze drammatiche e atti d’accusa sulla possibile superficialità che portò i militari italiani all’esposizione. Fra queste, quella dell’incursore dell’aeronautica Gianluca Danise, morto nel dicembre 2015, che nel suo diario raccontò di come i soldati americani indossassero tute «da marziani», mentre gli italiani erano dotati di un equipaggiamento ordinario. Ci sono poi le testimonianze dei familiari, che si sono battuti e si battono per avere giustizia: i risarcimenti, accordati in una quarantina di casi, o la certezza di ottenere le pensioni, in alcuni casi erogate con gravi ritardi, ma anche una indicazione certa sulle responsabilità che hanno portato alla morte dei loro cari. Compito di cui è investita ora questa quarta Commissione parlamentare, dalla quale si aspettano finalmente risultati e chiarezza. 

 

 

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