Strage di Capaci, la pista dei soldi russi al Pds. Putin teste al processo?

23 Giu 2017 17:59 - di Francesca De Ambra

La presunta trattativa Stato-mafia, già oggetto di un traballante processo davanti alla Corte d’assise di Palermo, potrebbe presto  assumere i contorni dell’intrigo internazionale. Tutto dipenderà dalla decisione della Corte, presieduto da Alfredo Montalto, di accogliere o meno la richiesta avanzata dall’avvocato Basilio Milio, legale dei generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, di ascoltare come teste il presidente russo Vladimir Putin.

Il processo è quello della trattativa Stato-mafia

Il nome del capo del Cremlino spunta nel processo che vede alla sbarra un pezzo importante della classe politica e non solo politica dell’Italia degli inizia degli anni ’90, dopo la trascrizione delle intercettazioni delle conversazioni in carcere tra il boss Giuseppe Graviano mentre parlava durante l’ora d’aria con il camorrista Umberto Adinolfi. In più d’un’occasione Graviano avrebbe atto riferimento alle stragi siciliane del ’92, quella di Capaci e di via D’Amelio, in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le relative scorte.

È stato il legale di Mori a fare il nome di Putin

Ma perché Putin? È lo stesso Milio a chiarire il senso della sua richiesta: «Vogliamo scoprire – ha spiegato il legale riferendosi ai moventi delle stragi – se vi sia anche anche l’indagine che in quell’epoca Falcone conduceva con il procuratore russo Stefankov sui fondi neri del Pds e provenienti dal Pcus (il partito comunista della ex-Unione Sovietica, ndr). Tutto ora dipende dalla decisione della Corte di acquisire al fascicolo dibattimentale le dichiarazioni di Graviano. Solo in questo caso, la  richiesta di Milio di ascoltare Putin come teste avrà qualche speranza di poter essere accolta. La riserva sarà sciolta nell’udienza del prossimo 29 giugno, anche se sin da ora appare difficile che possa accadere. Contro l’acquisizione delle dichiarazioni di Graviano, si sono infatti già opposti i difensori del colonnello De Donno, poiché «inutilizzabili», e quelli di Marcello Dell’Utri per i quali le intercettazioni sarebbero prive del requisito della genuinità dal momento che sia Gravano sia Adinolfi sapevano di essere intercettati.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *