Il fallimento delle banche venete: gli errori sono sempre gli stessi

27 Giu 2017 14:15 - di Enea Franza

Il fallimento delle banche Venete, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, come quello delle Banche Popolari dell’Etruria e di Cariferrara, Carichieti e Banca Marche, presentano tratti comuni che suggerirebbero ad un legislatore più attento (sia italiano che europeo) un profondo ripensamento dell’attuale disciplina bancaria.

In effetti, se pensiamo al ruolo assegnato alle oggi banche (in primo luogo di garante dei depositi e, poi di strumento di trasmissione della politica monetaria), possiamo certamente condividere il fatto che le banche italiane non sono state in grado di assicurare nessuno degli obbiettivi indicati. 

Il caso delle banche citate, ma anche il caso di Bipop-Carige e del Monte dei Paschi di Siena, stanno a dimostrare che, come soggetti garanti dei depositi, gli istitui bancari hanno di certo fallito. 

E gli errori sembrano seguire sempre lo stesso copione. In prima battuta l’erogazione di prestiti di favore ad imprenditori e/o amici senza le opportune garanzie e, la concessione di tali prestiti, ad esclusivo vantaggio personale del management ed, in una fase successiva, l’occultamento dello stato di sofferenza della banca da parte dello stesso management, quando a scadenza dei prestiti erogati non si riesca a far fronte alle sofferenze. 

A questa “analisi” potremmo aggiungere un’ulteriore considerazione, che dovrebbe aiutare il legislatore a fare leggi più serie. 

L’erogazione del credito facile è tipica delle fasi di ciclo positivo del reddito, cioè quasi connaturale alla crescita economica. In tale situazione, infatti, l’istituto di credito si trova incoraggiato (anche dall’autorità di controllo) ad allentare le garanzie per finanziare l’economia. La crescita economica favorisce il rientro delle esposizioni delle aziende sane ma rende possibile il finanziamento delle imprese marginali. Con l’inversione del ciclo economico, le imprese marginali non avendo profitti sufficienti, sono le prime ad andare in crisi finanziaria e a non onorare il prestito ricevuto.  Se ne potrebbe dedurre che una politica monetaria espansiva che durasse oltre il necessario potrebbe costituire la polvere necessaria e sufficiente per alimentare la crisi, ma ai nostri fini ciò che interessa è comprendere che il mancato pagamento delle rate in scadenza pone la banca in sofferenza. Di solito, in questa fase, la Banca provvede  con artefici contabili di varia natura e gravità volti, in definitiva, a mascherare lo stato di difficoltà e che vanno dal rinnovo delle posizioni non esigibili in scadenza a vere e proprie operazioni di falsificazione contabile. Tipica in questa fase è anche il tentativo di mascherare le difficoltà dovute ad una gestione non lineare con operazioni di finanza straordinaria come aumenti di capitale e/o fusioni. Il diffondersi di voci sulla stabilità della Banca tra il pubblico, puo oltre a far fallire i “rimedi” del management, a fenomeni di “code agli sportelli”, quando si venga a temere per la solidità dell’intermediario. 

L’atto finale dell’intermediario bancario è l’intervento statale. Più l’intermediario è grande, maggiore sarà l’interesse dello Stato ad intervenire. 

Si discute molto sulla opportunità o meno di far fallire una Banca. Il fallimento, in effetti, stroncherebbe alla radice situazioni di “moral hazard”. Ma ci sono almeno due controindicazioni. Il fallimento ha ripercussioni importanti sul territorio dove opera l’intermediario, nel casi di banche locali, e per le banche nazionali è capace di determinare importanti conseguenze sul reddito nazionale, con impatto sul reddito reale delle famiglie, e dunque sui consumi, contraendo la domanda interna. 

Il fallimento di una banca, inoltre, coinvolge i soggetti che hanno fatto affidamento sul funzionamento del sistema dei controlli pubblici (in primo luogo, le autorità di controllo), questione cui i Governi difficilmente possono non tenere conto.

Di fatto, dunque, la storia economica ci pone costantemente il problema della gestione dei fallimenti delle Banche, quando alle stesse viene affidato il doppio ruolo di gestore dei depositi e di strumento per finanziarie l’economie e quindi di tramite della politica economica della Banca Centrale, ma ci da, invero,  anche le soluzioni.

Non è cosa complessa, infatti, comprendere come è nel conflitto d’interesse tra le due attività che nasce e si alimenta il rischio sistemico dell’operatore bancario. Per spezzare tale questione, non resta che pensare ad una versione aggiornata del famoso Glass-Steagall Act,  con  l’introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attivitò d’investimento. In tal modo, pur rinunciando all’utilizzo di un’enorme massa di denaro per finanziare la crescita economica, eviteremo che a pagare gli errori dei privati siano sempre i cittadini.

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