La nemesi delle intercettazioni colpisce il Pd. Dopo Ruby… la nonna di Renzi

17 Mag 2017 11:15 - di Redattore 54

Accendi la tv e vedi Marco Travaglio che sbotta in tv:”Ma guarda, un giornalista dell’Unità costretto a difendere Berlusconi…”. In effetti, uno spettacolo. Il riferimento era a Mario Lavia che nel corso della trasmissione “Di martedì” su La7 aveva azzardato un paragone tra l’ex premier Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Entrambi vittime della mannaia delle intercettazioni divulgate a orologeria. Ne era nato anche un battibecco con Piercamillo Davigo, l’implacabile campione dell’antiberlusconismo, per il quale ovviamente ogni sospetto sui magistrati è obbrobbioso e incivile. 

E tuttavia una cosa è certa: se prima si frugava nella vita privata di Silvio Berlusconi ora la “legge del guardone” colpisce Matteo Renzi.I giornali grondano retroscena sui rapporti tra Matteo e papà Tiziano in un vortice implacabile di gossip e intercettazioni filtrate dagli uffici giudiziari. 

Ecco che su La Stampa troviamo le confidenze di un amico di Renzi, che racconta come Matteo più volte abbia raccomandato al padre di starsene tranquillo, da parte, di “non mettermi in difficoltà”. Urla e strepiti nel salotto di casa. Un racconto in cui compare anche la mamma di Renzi che rimprovera il figlio: “Matteo, la devi smettere! Basta urlare, lo sai che papà soffre di cuore…”. Il Corriere mette sul piatto un altro scoop familiare: l’intervista alla nonna di Renzi firmata da Virginia Piccolillo. La signora Anna Maria Pandolfi giura che tra padre e figlio non ci sono litigi. «Lui va d’accordo con il padre. Non hanno mai litigato. Nemmeno quando il ragazzo era piccolo. Certo il carattere è quello lì». Afferma che Renzi è uno che fa sempre quello che gli pare ma è stato educato con severità e che Tiziano Renzi “non ha più pace. Si ritrova anche quelli che gli fanno le fotografie sotto casa. S’inquieta, s’inquieta. S’è anche sentito poco bene. Ma noi siamo una famiglia per bene. A me e l’altro mio figlio non c’hanno potuto trovare niente. Lui è vigile urbano. Cercavano, cercavano…». Sui rapporti con la massoneria risponde infine: «Ah, boh. I massoni? Di queste cose non ne capisco, io facevo la sarta, poi ho fatto la mamma. Ma qui c’è solo gente a posto, via. Lo fanno solo perché Matteo vuole tornare su». 

Il Fatto procede con la baldanza di un carrarmato la sua opera di demolizione di Renzi. Oggi, a pag. 5, si anticipa una chicca dal libro di Marco Lillo “Di padre in figlio” (Paper First): si tratta del verbale inedito dell’interrogatorio del sindaco di Rignano sull’Arno Daniele Lorenzini, cui il padre di Renzi aveva confidato nell’ottobre 2016 di avere saputo di un’indagine che riguardava ‘un soggetto di Napoli’ e che temeva di essere arrestato.  

Va riconosciuta infine al Giornale una linea coerente. Il fondo di Alessandro Sallusti sullo scandalo Consip e le ultime intercettazioni divulgate parla chiaro. La sua chiave interpretative è minimalista ma coglie nel segno: tutto questo rumore nasce per imporre all’attenzione del pubblico un libro. Prima si è messa in mezzo la Boschi per pubblicizzare il libro di Ferruccio De Bortoli, “Poteri forti o quasi”. Ora si ricorre allo stesso sistema per il libro di Marco Lillo. “E noi – conclude Sallusti – qui a leggere e scrivere di questa banda di cialtroni e di un’inchiesta fatta di bufale e contro-bufale. Che invidia”. Viene quasi da rimpiangere le “cene eleganti”, roba che di certo accontentava di più i palati addestrati al guardonismo. 

 

 

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