Cara Marine, la “rifondazione” arriva troppo tardi. Ecco perché hai perso

8 Mag 2017 15:41 - di Fabio Rampelli

La destra francese ha molto da imparare dalla destra italiana, è anche questa la morale che si deve trarre dal ballottaggio di ieri e noi, che siamo sempre portati a esaltare tutto ciò che proviene d’Oltralpe, una volta tanto dovremmo riconoscerci qualche merito.

È giusto dire che se il Front National si fosse emancipato per tempo dalle sue zavorre gli oltre  4 milioni di francesi che hanno votato scheda bianca più l’oceano di elettori che sono rimasti a casa avrebbero tributato a Marine Le Pen un successo più che probabile. Sono loro tremati i polsi ad apporre quella croce sul suo nome e così in Francia il popolarismo sociale non si è sommato, come accaduto in Italia già dal 1994, con un populismo responsabile. Sarebbe stato l’inizio di una rivoluzione totale.

C’è infatti modo e modo di essere di destra: si può auspicare per decenni il ritorno del fascismo oppure dire, già dai tempi del Msi, “non rinnegare non restaurare” aderendo al modello democratico; ci si può schierare contro l’ ‘Amerika’ per rivalsa verso i vincitori della seconda guerra mondiale ovvero criticare l’american way of life senza discutere l’appartenenza atlantica, ma chiedendo pari dignità nelle alleanze; si può lasciare che si diffonda un sentimento antisemita fino ad avere sindaci che negano l’Olocausto – come accaduto alla Le Pen in questi giorni – oppure considerare netta l’appartenenza di Israele all’Occidente, giudicare la persecuzione degli ebrei orrore e vergogna perenni, pur chiedendo la trasformazione della Palestina in Stato; si possono detestare gli immigrati oppure contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, il traffico di uomini che arricchisce malavitosi e cooperative, nel rispetto della povertà, della disperazione, della persona umana; si può chiedere la fuoriuscita dall’Ue per affermare una Grandeur sciovinista o puntare a rinegoziare i Trattati per fare un’Europa nazione di popoli, patrie e culture, soggetto capace di tenere al guinzaglio la globalizzazione e non suo strumento per riempire il portafoglio della grande finanza.

L’intellighenzia rossa ha mostrato il ghigno di soddisfazione tipico di chi la sa lunga, mentre accusava la Le Pen d’impresentabilità. Questione di convenienza. Dalle nostre parti invece si è fatto il tifo, perché quando infuria la battaglia non si polemizza, ma gli animi non sono mai stati troppo caldi e, a bocce ferme, si deve lasciare spazio all’analisi politica. Perché ora tocca di nuovo a noi indicare alle forze alternative al pensiero unico progressista la rotta e l’obiettivo per rimettere in moto la speranza.

Siamo noi i prossimi e non possiamo arrenderci all’idea che un tremante, bambinesco ‘Macron italiano’, il migliore prodotto possibile per garantire che tutto resti così, prenda il sopravvento, travestito da giullare democratico o a cinque stelle.

L’Europa politica, grande intuizione incompiuta, merita un’altra chance. Non un gigantesco mercato gestito da servi apolidi, ma coacervo di emozioni e millenarie conquiste trascritte da Platone, portate sugli scudi da Giulio Cesare, declamate dal generale De Gaulle, purtroppo ora solo ricamate sul bavaglino di Jüncker…

Se il progetto di indipendenza dei popoli dalle borse e dai titoli accusa una battuta d’arresto è anche per questo. Non c’è solo il tradimento dei gollisti… C’è l’incompiuta modernizzazione di una destra francese ancora greve, cui la Le Pen ora pare voler tardivamente porre rimedio. È una delle cause della mancata contaminazione tra populismo e popolarismo, di cui si è avvantaggiato l’esile e vuoto banchiere di Amiens. L’avevamo previsto, è accaduto.

 

*capogruppo Fdi-An Camera dei deputati 

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