Non c’è più religione: non convince il film di Miniero sul presepe multietnico

6 Dic 2016 18:46 - di Redattore 54

Dopo Benvenuti al Sud, Benvenuti al Nord e Un boss in salotto – commedie godibili giocate sui pregiudizi che dividono gli italiani – il regista Luca Miniero si cimenta con una storia che dovrebbe sfatare un altro pregiudizio, quello della guerra di civiltà o di religione tra cattolici e musulmani, tra italiani e immigrati “invasori”.

Il presepe vivente

Nasce con questo intento un film come Non c’è più religione, la cui trama si snoda attorno alla volontà del sindaco di Porto Buio (Claudio Bisio) di far rinascere la piccola comunità di un’isola del Mediterraneo (il film è girato alle isole Tremiti)  rendendo più attraente il presepe vivente tradizionalmente allestito per il Natale. Il problema è che per il presepe ci vuole il Bambinello e che nell’isola l’ultimo bambino nato è diventato un adolescente e non entra più nella culla-mangiatoia. Che fare allora? Il sindaco cerca di convincere Suor Marta (Angela Finocchiaro) ad accettare un bimbo musulmano.

Tradizioni religiose offuscate

Allo scopo si intavola una trattativa con Marietto-Bilal (Alessandro Gassmann), italiano ma convertito all’Islam per amore di una bella ragazza (Nabiha Akkari) diventata sua moglie e in procinto di partorire. Fatto l’accordo si dà al via a una convivenza tra le due comunità, tra battute e risate, con un finto Ramadan e preghiere sia musulmane che cattoliche nella chiesa dell’isola. Uno spunto per farsi due risate, certo. Ma c’è qualcosa di più: un’eccessiva leggerezza sia nel rappresentare le tradizioni islamiche sia nella messa in scena del presepe che a un certo punto, per una serie di sviluppi di una trama non sempre lineare, diventa anche buddista. Per non parlare delle invocazioni a un dio africano mischiate con citazioni dell’Apocalisse. 

La suora che parla con il Crocifisso

Alla fine dunque anche la religione, le religioni, vengono trattate come spunti di comicità ma ci si può riuscire solo se lo si fa senza indulgere nei luoghi comuni di una società completamente desacralizzata. La suora che parla con il Crocifisso ad esempio (il cui modello sono i celebri monologhi di Don Camillo) è molto diversa dal personaggio di Guareschi, che ironizzava sui propri limiti di peccatore. Lei invece ripiega sulla monotonia della vita di coppia: “La spesa la butti tu?”, o anche: “Dai, lo sai che insieme a te sto bene”.

Il presepe non è multietnico, è italiano

Quanto al presepe, se è vero che per i musulmani Maria di Nazareth è figura degna di venerazione e Gesù un Profeta capace di fare miracoli, va anche ricordato che si tratta di una tradizione tutta italiana – il primo fu realizzato da san Francesco a Greccio nel 1226 – nata per sottolineare il mistero dell’Incarnazione e non per celebrare la fratellanza tra “diversi”. Un tocco più delicato nel trattare il tema sarebbe stato apprezzabile. Certamente, una commedia non è la cornice adatta per l’esegesi di una tradizione religiosa ma non è necessariamente lo scenario per dire che l’unica religione possibile è ormai quella del “volemose bene” (anche facendosi una canna tutti insieme: sindaco, suora e musulmano). La sceneggiatura vira invece decisamente in questa direzione: azzeccatissimo allora il titolo. Il film non parla di integrazione ma certifica, un dialogo dopo l’altro, che appunto “non c’è più religione”. 

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