«Che botte quella volta a Centocelle al comizio di Giulio Caradonna…»

18 Nov 2016 20:28 - di Antonio Pannullo

Noi giovani missini degli anni Settanta lo chiamavamo “er sor Giulio”, quando lo vedevamo nel quartiere Trieste di Roma passeggiare col suo cane, se non erro un bulldog, il bastone e il sigaro toscano. “Er sor Giulio” è Giulio Caradonna, di cui oggi ricorre il settimo anniversario della morte,  deputato del Movimento Sociale Italiano per otto legislature negli anni Settanta e Ottanta. Di lui la stampa di sinistra e di regime scrisse di tutto: mazziere, picchiatore, violento, bastonatore e chi più ne ha più ne metta, sostantivi ovviamente seguiti dal solito aggettivo: “fascista”, che bastava a giustificare ogni insulto e azione contro di lui. Chi lo conosceva in realtà sa che lui era uno che non si tirava certo indietro pur di garantire e garantirsi la libertà di parola. Negli anni dell’“uccidere un fascista non è reato” e dove chi era di destra era considerato un animale da abbattere, non deve stupire se Caradonna e i giovani nazionali – come si chiamavano allora – prendevano il bastone per difendersi nel corso dei continui scontri di piazza. Scontri di piazza, va detto, che il 90 per cento delle volte succedevano perché le sinistre estreme e il Partito Comunista Italiano non volevano che il Msi potesse parlare. Ci sarebbero centinaia di episodi da raccontare dell’attività di Giulio Caradonna dentro e fuori il parlamento, ma vogliamo soffermarci sui suoi comizi, ormai divenuti leggendari, che nell’imminenza di ogni elezione teneva nel cuore del quartiere romano di Centocelle, piazza dei Mirti. Per chi non lo sapesse, ricordiamo che Centocelle era il quartiere più rosso di Roma, insieme a San Lorenzo, e aveva una radicata tradizione antifascista. proprio in piazza dei Mirti alla fine della guerra c’era il comando partigiano, in un locale che poi subito dopo la guera divenne una sezione del Pci. A Centocelle il Msi ha avuto sempre estreme difficoltà di sopravvivenza: le sezioni cambiavano sede spessissimo e l’ultima, quella di via delle Ninfee, una notte fu murata dagli operai comunisti per inibire l’ingresso agli iscritti missini. Eppure era una sezione frequentata da persone coraggiosissime: c’era una ex ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana che quando la sezione veniva assaltata usciva col bastone; c’era un signore, Leone, che ne quartiere gestiva una palestra spesso oggetto di attentati; c’era Angelo, er cecio, un vero rivoluzionario sempre in polemica col Msi che considerava troppo moderato; il segretario, gli iscritti e i simpatizzanti, tra cui anche un ufficiale della Polizia di Stato, non potevano girare liberamente per il quartiere. La sezione era intitolata a Ugo Baldelli, e fu inaugurata nientemeno che dal comandante Junio Valerio Borghese in persona.

Centocelle brodo di coltura delle BR

Proprio a Centocelle si formò quel brodo di coltura che porterà diversi extraparlamentari di sinistra ad aderire, anni dopo, alle Brigate Rosse. E la “tigna” di Caradonna nel voler fare un comizio proprio nel cuore del comunismo ha una ragione precisa: nel 1969 il segretario sezionale, la sede era forse in via delle Azalee, allora era Carmine Biello, un maestro elementare molto legato a Caradonna, all’epoca federale in via Cavour. E proprio nel 1969 accadde un fatto che nel quartiere negli anni successivi è diventato leggenda: era il 24 maggio, e per quel giorno, alle 18, il Msi aveva indetto un comizio proprio in piazza dei Mirti, con oratori Caradonna e Gino Calza Bini, ex generale della Milizia, partecipante alla Marcia su Roma, fondatore dei Moschettieri del Duce. Ebbene, sin dalla mattina la piazza e le strade circostanti furono occupate da migliaia di persone, uomini, donne con bambini, operai, contadini, dai balconi e persino dai tetti sventolavano bandiere rosse. Quando, verso le 17, arrivò il gruppetto di Caradonna, formato da una ventina di ragazzi, si dovette rassegnare a parlare in un angolino della piazza, e le sue parole furono sovrastate dal rumoreggiare della folla furibonda. Dopo alcuni minuti, in cui il Msi comunque aveva dato testimonianza, le forze dell’ordine convinsero i missini ad andarsene. Il Pci di Centocelle evidentemente ci teneva alla fama di quartiere antifascista che gli garantiva un enorme serbatoio di voti, e non intendeva spartire la torta con nessuno. Invece il Msi rimase, malgrado le violenze degli avversari politici.  Ecco perché il sor Giulio negli anni successivi ci tornava sempre, a costo di correre gravissimi rischi. E poi, lui aveva un fardello pesante sulle spalle: doveva essere all’altezza – e lo era – del padre, Giuseppe Caradonna, fondatore del Fascio di Cerignola, partecipante alla Marcia su Roma, gerarca negli anni del consenso, aderente alla Rsi. Anche Giulio, 16enne, partì volontario per Salò, e quando morì la sua bara fu avvolta nella bandiera della Repubblica Sociale.

La sezione di Centocelle fu inaugurata da Borghese

Tornando a Centocelle, era il gennaio 1971, di lì a poco si sarebbero svolte le elezioni amministrative che avrebbero visto una grande avanzata della fiamma tricolore, avanzata che si tramutò in trionfo l’anno successivo alle elezioni politiche. Ma a Centocelle non c’era questa atmosfera. Nel quartiere allora, oltre alle sezioni del Pci, c’era Lotta Continua, che si appoggiava alle sezioni del Partito socialista e della Fgs, l’organizzazione giovanile del Psi, Avanguardia Operaia, Potere Operaio, che era certo il gruppo più “cattivo”, i maoisti di Servire il Popolo, il Pdup, il Manifesto, Stella Rossa, gli anarchici del nucleo Kronstadt, ossia gli anarchici, oltre a vari centri sociali. Proprio per questo in quei giorni il segretario della sezioni missina aveva pregato Caradonna di fare un comizio a Centocelle, poiché i missini non avevano più alcuna agibilità. Così, in quel freddo giorno di gennaio, Caradonna, accompagnato dal fido autista Piedone, ma anche da circa duecento attivisti missini provenienti da tutte le sezioni, compresa la famosa “palestra” di Angelino Rossi, occuparono il centro della piazza circondati da celerini e da carabinieri in pieno assetto anti-sommossa. Intorno, circa duemila attivisti comunisti. A circa un terzo del comizio, dal gruppo dei manifestanti iniziò a partire di tutto: sanpietrini, bottiglie, spranghe di ferro, petardi, tanto che Caradonna disse la storica frase: «Non vi preoccupate, sono gli ultimi petardi di Capodanno in ritardo!». Dai racconti dei testimoni, Roberto dei Volontari Nazionali e Geppo di Sommacampagna (che all’epoca aveva appena 14 anni), a un certo punto  Lotta Continua iniziò a intonare il lugubre coro: «Piazzale Loreto! Piazzale Loreto!». A quel punto due giovani missini, Arturo e Romolo, che avevano avuto i genitori assassinati dai partigiani nella Rsi, impazziti di dolore, si lanciarono contro la turba urlante, seguiti da una ventina di loro camerati. Incredibile a dirsi, i comunisti arretrarono di fronte a questa imprevista “carica”. Il comizio si concluse tra bombe molotov e grida, ma i missini lasciarono la piazza solo quando Caradonna ebbe finito di parlare. E così tutti gli anni successivi. Giulio Caradonna aveva affermato un diritto secondo il quale tutti avevano diritto di parola ovunque. Cosa che le sinistre ancora oggi non hanno imparato. È di questi giorni la notizia della scomparsa della adorata moglie Ortenzia, che ha raggiunto Giulio dopo sette anni. Al funerale di Caradonna, celebrato a San Giuseppe in via Nomentana, il senatore Domenico Gramazio, sua grande amico ed estimatore, tenne un appassionato quanto commovente discorso funebre, alla presenza di numerosi ex missini.

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