Morto Provenzano. I medici avevano avvertito i pm: deve essere curato

13 Lug 2016 13:48 - di Paolo Lami

Da anni il suo avvocato, Rosalba Di Gregorio, aveva chiesto senza successo, la revoca del regime carcerario duro e la sospensione dell’esecuzione della pena per il suo assistito, proprio in virtù delle sue gravissime condizioni di salute. Inutilmente. Nonostante il parere dei medici che avevano scritto che il paziente era «incompatibile con il regime carcerario», aggiungendo anche che «l’assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza». Oggi Bernardo Provenzanocapomafia detenuto in regime di 41 bis è morto nell’ospedale San Paolo di Milano dov’era stato portato il 9 aprile del 2014 proveniente dal Centro clinico degli istituti penitenziari di Parma e dove i familiari avevano potuto incontrarlo domenica 10 luglio, quando oramai gli restavano poche ore di vita.
L’ultima istanza di sospensione della pena avanzata dai legali del boss era di tre giorni fa, quando le condizioni di salute del boss erano apparse disperate. Il Tribunale di sorveglianza di Milano però l’aveva rigettata due giorni fa. Come, in passato avevano fatto i giudici di Bologna e sempre del capoluogo lombardo a cui gli avvocati del capomafia si erano rivolti. Uno dei motivi per i quali, secondo il giudice di sorveglianza di Milano, il boss non poteva essere scarcerato nonostante le sue condizioni di salute consisteva nel fatto che i “trascorsi criminali” di Provenzano e il “valore simbolico del suo percorso criminale” lo avrebbero esposto “qualora non adeguatamente protetto nella persona” e “trovandosi in condizioni di assoluta debolezza fisica”, ad “eventuali ‘rappresaglie’ connesse al suo percorso criminale, ai moltissimi omicidi volontari dei quali è stato riconosciuto colpevole, al sodalizio malavitoso” di cui è stato “capo fino al suo arresto”.
Ottantatré anni, malato da tempo, indicato come il capo di Cosa nostra, venne arrestato dopo una latitanza di 43 anni l’11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone, a poca distanza dall’abitazione dei suoi familiari.
Tutti i processi in cui era Provenzano era ancora imputato, tra cui quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, erano stati sospesi perché il boss, sottoposto a più perizie mediche, era stato ritenuto incapace di partecipare.
L’ultima diagnosi che i medici dell’ospedale avevano depositato non lasciava spazio a interpretazioni: grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compiuto, eloquio assolutamente incomprensibile, quadro neurologico in progressivo, anche se lento, peggioramento. Oggi la morte. Nelle loro conclusioni i medici dichiaravano il paziente «incompatibile con il regime carcerario», aggiungendo che «l’assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza».
Proprio il 22 marzo scorso i medici, chiamati ad esprimersi sulle condizioni di salute del boss, avevano attestato nella nuova relazione consegnata al gip, davanti al quale pende il procedimento stralcio che Provenzano non era in grado di partecipare al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
La posizione del capomafia corleonese, soggetta a valutazioni periodiche e separata da quella dei coimputati proprio per le sue problematiche condizioni psicofisiche, doveva essere riesaminata il 23 settembre prossimo.

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