Ciudadanos non vince ma convince: ora è la scelta obbligata per Rajoy

21 Dic 2015 18:19 - di Antonio Pannullo

Si fa presto a dire “flop di Ciudadanos“. Il partito anticasta di Albert Rivera era dato come uno dei protagonisti – insieme a Podemos – delle elezioni legislative spagnole, e il 14 per cento dei consensi ha deluso più che altro gli opinionisti. Anche perché in realtà i sondaggi lo davano al 15 per cento. Tutti i sondaggi hanno inspiegabilmente gonfiato i partiti cosiddetti “nuovi”, Podemos e Ciudadanos, annunciando una rivoluzione prossima ventura in Spagna. Non è successo nulla di tutto questo, perché il centrodestra di Mariano Rajoy ha vinto – e anche in maniera convincente – le elezioni con il suo quasi 29 per cento, seguito dal solito Psoe con il 22, poi da Podemos col 20 e appunto da Ciudadanos, detto anche il partito arancione, col 14. Ma quella della compagine di Rivera è una grande vittoria, perché “Cittadinanza”, questa la traduzione in italiano, sin dalla sua fondazione, dieci anni fa, è andato sempre aumentando i propri consensi, fino a questi 40 seggi con cui irrompe alle Cortes. Nato in Catalogna, palestra di fermento politico per tutta la Spagna, Ciudadanos al suo debutto – al parlamento catalano – prese il 3 per cento, ma già nel 2012 raddoppiò i suoi voti raggiungendo  il 7,6 per cento pari a nove deputati eletti. Da allora in poi smise di essere un partito locale per diffondersi in tutto il Paese con un manifesto politico immaginificamente intitolato “La congiura de Goya”. Comunque ha avuto successo, tanto che nel 2014 elesse due eurodeputati. E proprio quest’anno, al parlamento andaluso, Ciudadanos ha sfiorato il 10 per cento. Li hanno definiti in tanti modi: partito anticasta, grillini di destra, estremisti di centro, liberal riformatori, ma cosa siano non è ancora molto chiaro. Certamente sono nemici degli indipendentisti catalani di Artur Mas, pur provenendo dalla stessa regione e pescando nello stesso bacino elettorale, ma con loro non hanno nulla a che fare, tanto che definiscono quello di Mas e compagni come il “nazionalismo obbligatorio”. Ma sulle autonomie potrebbero ottenere più risultati loro che gli indipendentisti duri e puri.

Il presidente di Ciudadanos è l’avvocato Albert Rivera

Il presidente è l’avvocato 37enne Albert Rivera, di Barcellona, vero enfant prodige della politica spagnola. La sua traiettoria nazionale è stata folgorante. Un anno fa ha trasformato in partito nazionale la sua piccola formazione anti-indipendentista catalana. Dal 27 settembre, quando contro ogni attesa il suo partito è arrivato secondo alle elezioni catalane dietro il fronte indipendentista ma davanti a tutti gli altri partiti nazionali, è esploso nei sondaggi. La sua ambizione è prima o poi di mandare in pensione il vecchio Partido Popular di Mariano Rajoy, di divorarne l’elettorato, e di prenderne il posto. Come Podemos di Pablo Iglesia aspira a sostituire il Psoe, seguendo l’esempio di Syriza in Grecia con lo storico Pasok. Figlio di commercianti andalusi emigrati a Barcellona durante il franchismo, è stato campione di Catalogna di nuoto a 16 anni, poi è diventato avvocato. Nel 2006, dopo quattro anni alla Banca Caixa, entra in politica. Ottiene un seggio al parlamento catalano e diventa famoso per i manifesti elettorali nei quali appare nudo, solo con le mani poste a copertura dei testicoli. Ora è il campione della sedicente “politica nuova” e di una “mani pulite” a oltranza nel Palazzo del potere spagnolo, contaminato da una corruzione quasi endemica. Ammira la cancelliera Angela Merkel, di cui propone molte delle ricette economiche. I suoi avversari lo accusano di essere un “sottomarino” delle banche e della grande impresa spagnola. Tanto che è il preferito dal mondo degli affari. The Economist, la rivista della City, la settimana scorsa ha invitato gli spagnoli a votare per lui. «È centrista e liberal nel senso britannico», spiega il settimanale, che però gli consiglia di andare al governo dopo il voto con il Pp di Rayoy, e non con Psoe e Podemos. Come probabilmente finirà. Concludendo però, il Partido Popular di Rajoy mantiene la maggioranza assoluta nel Senato, la seconda camera del parlamento di Madrid, che però non ha il potere di votare la fiducia al governo. Secondo i dati ufficiali diffusi, il Pp ha ottenuto alle politiche di domenica 124 senatori, contro 47 al Psoe, 16 a Podemos, 6 ciascuno ai partiti nazionalisti catalani Erc e Convergencia e a quello basco Pnv. Un senatore è stato assegnato alla Coalizione delle Canarie, mentre resta fuori dall’assemblea alta Ciudadanos. I senatori sono eletti in base ai risultati ottenuti dai partiti in ogni regione del Paese. I 124 seggi del partito di Rajoy quindi costituiscono una maggioranza di blocco per qualsiasi riforma della costituzione non appoggiata dai popolari.

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