Caserta, truffatore costretto a pagare il “pizzo” alla camorra. Arrestato

9 Dic 2015 16:58 - di Francesca De Ambra

Aveva truffato a più non posso – giovani in cerca di lavoro, nubili in cerca di marito, poveri in attesa di sussidio compagnie di assicurazioni – ma alla fine anche lui aveva dovuto inchinarsi alla ferrea legge della camorra e impegnarsi a versare al clan una percentuale variabile tra il 10 e il 20 per cento dei guadagni realizzato attraverso i suoi raggiri. La singolare storia del 34enne Giuseppe Vinciguerra è emersa nel bel mezzo di una vasta azione anti-cosche coordinata dalla dea di Napoli che ha portato all’arresto di dieci presunti esponenti dei Belforte di Marcianise, nel Casertano, con accuse che spaziano dall’estorsione all’usura con l’aggravante del metodo mafioso.

Giuseppe Vinciguera si spacciava per carabiniere

È immaginabile che i carabinieri guidati dal capitano Pasquale Puca si siano meravigliati non poco nello scoprire che tra gli arrestati c’era anche quella vecchia conoscenza di Vinciguerra, truffatore sì ma di certo non sospettato di intese con i brutti ceffi della camorra. Lo conoscevano per le sue performance truffaldine eseguite in tutta Italia. Vinciguerra si era “specializzato” nel reato di usurpazione di funzione pubblica. Così di volta in volta si spacciava per ufficiale dei carabinieri e della Finanza ma non disdegnava neppure la toga di magistrato. Proprio per questo Vinciguerra fu arrestato lo scorso agosto nell’ambito di un’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere che accertò come il 34enne avesse truffato decine di vittime facendosi prestare soldi dietro la promessa di un posto di lavoro. Gli inquirenti gli sequestrarono su Facebook due account, uno come capitano dell’Arma, l’altro come magistrato. E prima ancora era stato arrestato perché aveva raggirato decine di ragazze cui aveva dato parola di sposarsi facendosi dare i soldi per le nozze.

Versava alla camorra tra il 10 e il 20% dei guadagni delle truffe

La truffa insomma l’aveva nel sangue e doveva avere anche una certa abilità se il clan guidato dai fratelli Vittorio e Giuseppe Lai, referenti dei Belforte nella confinante Maddaloni, aveva deciso di imporgli il pizzo sulle sue “attività”. Ogni mese una percentuale variabile a seconda degli incassi, come se fosse il titolare di una vera attività imprenditoriale. E invece era solo un truffatore. Ma se è vero che per tutti pecunia non olet figuriamoci per i camorristi.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *