Sibilla, Evola e Parise. Un triangolo amoroso nella Roma anni ’20

17 Set 2015 14:33 - di Redattore 54

Lei, Sibilla Aleramo, nata Rina Faccio e divenuta famosa con il romanzo Una donna, in cui racconta la sua ribellione verso un marito violento e gretto, conosce Julius Evola e Giulio Parise a Roma, imbattendosi in quella che chiama “la setta dei Magi”. Sono giovani dotati di uno charme particolare, fanno conferenze sulla teosofia, scrivono su riviste di studi esoterici – Atanòr e Ignis e poi fonderanno la rivista Ur – e conoscono a loro volta Arturo Reghini, di cui si parla con rispettosa reverenza, come di un iniziato, del maggiore esperto di pitagorismo in Italia. Sibilla Aleramo si lascia trascinare nel gorgo mondano che intreccia mode esoteriche e flirt lascivi. E, al contrario dei suoi due amanti, ne resta quasi travolta. Ora un libro di Simone CaltabellotaUn amore degli anni Venti (Ponte alle Grazie) –  ricostruisce quel triangolo amoroso, con grande attenzione ai documenti e alle lettere inedite della scrittrice: ne viene fuori un lavoro avvincente, su una pagina di storia romana e letteraria del tutto sconosciuta, che alla fine mostra Evola, il filosofo aristocratico amato dalla destra radicale, in una luce del tutto diversa da quella cui si è abituati e racconta particolari sconosciuti su Giulio Parise, figura poco studiata e approfondita, che impressionò Papini per le sue doti di “mago vero”.

Evola e Parise nel romanzo “Amo, dunque sono”

Sibilla Aleramo non tratta le due figure – protagoniste del suo romanzo Amo, dunque sono – allo stesso modo: con Evola è risentita, con Parise è appassionata. Più grande di entrambi, cerca di trattarli alla pari confidando nella forza della passione amorosa e nelle sue doti intellettuali, ma l’impresa non le riesce. I due amanti sono poi a loro volta molto diversi tra loro: Evola rasenta la misoginia e si fa interprete nei suoi scritti della tradizione di pensiero aristotelica che vuole la donna “materia” cui il principio maschile imprime una “forma”; Parise parla raramente delle sue esperienze magiche nelle sue lettere – ma le confessa di avere evocato gnomi e folletti … – e sceglie di preservare Sibilla dalle energie che attorno a lui sono in movimento rifiutandosi persino all’amplesso che l’amante insistentemente le richiede. Tra i due, Evola e Parise, non mancheranno gli inevitabili contrasti causati dal rapporto con Sibilla. Sullo sfondo, l’ambigua figura della marchesa Livia Picardi, amante di Evola e artefice dell’incontro fatale tra Sibilla e Giulio Parise.  Nel romanzo Amo dunque sono Evola appare come Bruno Tellegra e l’autrice non ne fa un bel ritratto,  chiamandolo “gelido architetto di teorie funamboliche”. Una vendetta successiva alla traumatica rottura, offensiva per Sibilla che ha l’abitudine di concedersi senza infingimenti.  Nel periodo in cui si frequentavano, tuttavia, si era sentita trasportare da un sentimento vero e profondo – come scrive nelle sue carte inedite – e aveva confidato nell’amore come forza d’attrazione di un amante schivo e poco coinvolto: “Il mio bene ti sorride, ti cinge, ti carezza, ti attende, ti assolve, ti conduce più lontano, più lontano, dove non sei mai stato ancora…”. Evola ricambierà questo lessico ardente con due cartoline, una da Luco de’ Marsi e una da Genzano.

Le prove “mistiche” di Sibilla Aleramo

La frequentazione con Giulio Parise, bellissimo ed enigmatico, comincia invece ella primavera del 1926 (nel romanzo lo chiama Luciano). Sibilla è vicina ai cinquanta, Giulio è poco più che ventenne. Tutta la loro storia d’amore – annota Simone Caltabellota -è  “la storia di una doppia e reciproca attrazione e resistenza al mondo dell’altro, della carne e dello spirito”. Sibilla per avvicinarsi al mondo dell’amante compie anche dei tentativi di trance – di cui tiene nota nei suoi appunti inediti chiamandoli Prova I e Prova II – per attirare a sé l’amico sotto altra forma, invocandone la presenza. La prova consisteva nello stare supina, immobile, per lungo tempo, cercando di raggiungere con la mente il “pensiero non pensiero”, uno stato di concentrazione superiore atto a sviluppare energie spirituali mai sperimentate. Prove fallite che fanno concludere alla scrittrice che la vera magia che lei può conoscere è solo l’amore, il donarsi (e lo farà con molto uomini) abbandonando ogni velleità ascetica o mistica.

Il fine occulto del Gruppo di Ur

Infine, va notato che la “setta dei magi”, in quel periodo aveva altri impegni da onorare anziché dare seguito ai flirt con la pur famosa e ammirata Sibilla Aleramo. Il gruppo di Ur aveva infatti in animo di suscitare forze psichiche atte a influenzare Mussolini spingendolo verso una effettiva restaurazione dello spirito dell’antica Roma anziché percorrere la strada dell’intesa con il Vaticano. A riprova, basta leggere ciò che scrisse lo stesso Evola nella sua autobiografia intellettuale, Il cammino del Cinabro: “Quanto alle finalità (del gruppo di Ur, ndr) quella più immediata era il destare una forza superiore da servire al lavoro individuale di ciascuno, forza di cui eventualmente ciascuno potesse far uso. Vi era però anche un fine più ambizioso, cioè l’idea che su quella specie di corpo psichico che si voleva crare potesse innestarsi, per evocazione, una vera influenza dall’alto. In tal caso non sarebbe stata esclusa la possibilià di esercitare, da dietro le quinte, un’azione perfino sulle forza dominanti nell’ambiente generale di allora”.

 

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