Marò, l’India ci imbroglia per inchiodare Latorre e Girone. Ecco le prove

11 Set 2015 10:37 - di Redazione

L’India ha truccato le carte per inchiodare i nostri marò? A svelare l’imbroglio è il Resto del Carlino che punta i riflettori sulle due testimonianze fotocopia (depositate da Nuova Delhi al tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo) dei sopravvissuti sull’incidente che portò all’arresto di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati dall’India di aver ucciso al largo della costa del Kerala il 15 febbraio 2012 due membri dell’equipaggio del Saint Antony. «I testimoni – si legge sull’inchiesta firmata da Lorenzo Bianchi – indicano senza la più pallida ombra di dubbio e senza storpiarli i nomi e i cognomi dei due militari italiani che avrebbero ucciso i loro compagni di lavoro. Li definiscono sailors, i marinai».

L’accusa tarocca ai marò

Sia il comandante del peschereccio, Freddy Bosco, 34 anni, il marinaio Kinserian, 47 anni, dichiarano «onestamente e con la massima integrità» che alle 16,30 del 15 febbraio 2012 il natante «finì sotto il fuoco non provocato improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi». Entrambi – sottolinea il giornalista del quotidiano –  guarda caso, sbagliano nello stesso modo il nome della petroliera la Enrica Lexie, parlano di «tiri malvagi» che hanno provocato la «tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke». La loro vita dopo la sparatoria è descritta nello stesso modo.  Quasi identiche le parole usate dal terzo pescatore,  Michael Adimai, sentito il 4 agosto 2015, che parla di spari «senza preavviso e provocazione» e, come gli altri due,  denuncia l’incapacità di portare avanti «le attività quotidiane». Strane coincidenze che si aggiungono ai troppi punti oscuri della tragica vicenda, tra omissis, sospetti e ritardi della polizia. Per di più, le carte non avrebbero dovuto essere depositate al tribunale amburghese, visto che i giudici erano chiamati a decidere solo se il processo ai marò dovesse essere celebrato dall’India o dall’Italia. Insomma, le udienze ad Amburgo sono state sfruttate da Nuova Delhi per ribadire la colpevolezza dei marò italiani. Come è noto, la Corte di Amburgo il 24 agosto ha sospeso tutte le procedure giudiziarie indiane ma non si è pronunciata sulla richiesta di rientro in Italia di Salvatore Girone.

Il giallo dei proiettili

Il giallo dei proiettili. Sempre nelle carte indiane (che allegano il documento sull’autopsia dell’anatomo patologo Sasikala rimasto a lungo nei cassetti) arriva la conferma che i proiettili che hanno ucciso i due marinai indiani erano più lunghi di quelli in dotazione ai marò. Nella seconda pagina dell’allegato 4 – riporta il Resto del Carlino – viene descritto e misurato il proiettile estratto dal cervello di Jelastine. «È una pallottola molto più grande delle munizioni calibro 5 e 56 Nato in dotazione ai marò. Il medico ha misurato un’ogiva lunga 31 millimetri, con una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella parte più larga. Il proiettile italiano è lungo appena 23 millimetri. I colpi dei kalashnikov si fermano a 26,4 millimetri: il  proiettile viene quindi da un’arma diversa dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 dei fucilieri di Marina italiani». Infine un dettaglio non trascurabile il Gps del Saint Antony non fu consegnato dal comandante del peschereccio alla polizia appena arrivò in porto, ma otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto.

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