Sindrome cinese sulle Borse: Shangai crolla, l’Europa arranca

27 Lug 2015 13:48 - di Tito Flavi

La sindrome cinese si abbatte sulle Borse e fa temere sull’andamento dell’economia del Dragone.  La borsa di Shanghai ha perso l’8,48%, nella peggior seduta dal febbraio 2007, quella di Shenzhen il 7%. La sindrome cinese si fa sentire anche in Europa.  Scivola Piazza Affari a metà seduta. Il Ftse Mib cede il 2,05% a 23.026 punti, peggior listino in un’Europa preoccupata dal crollo delle borse cinesi. Male Fca (-4,29%) dopo l’accordo negli Usa sui richiami, giù anche il risparmio gestito con Azimut (-4,56%) e le banche con Intesa Sanpaolo (-3,40%). Restano pesanti   le altre borse europee a metà seduta, spaventate dalla sindrome cinese e dal rischio di una frenata dell’economia del colosso asiatico. In calo le materie prime mentre il Bloomberg commodity index scava nuovi minimi da 13 anni. Milano è maglia nera davanti a Parigi (-1,4%), Francoforte (-1,2%) e Madrid (-0,7%) mentre Londra limita il calo allo 0,2%. Non risolleva i listini la lettura migliore delle attese dell’indice Ifo. Giù anche i future su Wall Street.

La sindrome  odierna ha spazzato via il recupero delle Borse prodotto dalle misure del governo cinese, alimentando interrogativi sulla possibilità di sostenere artificialmente i prezzi dei titoli in un contesto di crescita economica debole. A giugno i profitti industriali sono scesi dello 0,3%, a fronte di un rialzo dello 0,6% nel mese di maggio, mentre l’indice pmi manifatturiero, reso noto venerdì, segnava una contrazione inattesa, ai minimi da 15 mesi. “Il tonfo di oggi è acqua gelata sulla fiducia degli investitori” ha commentato a Bloomberg Mari Oshidari, strategist di Okasan Securities a Hong Kong, e rivela che “il mercato è ancora troppo fragile senza il supporto del governo”, i cui interventi hanno permesso a Shanghai di recuperare il 16% dal minimo segnato lo scorso 8 luglio. Tra le misure adottate da Pechino, figurano lo stop alle contrattazioni di oltre 1.400 società e alle nuove quotazioni, il divieto di vendita da parte di grandi azionisti e manager, restrizioni e inchieste a carico di chi vende allo scoperto, la creazione di un fondo da 19 miliardi di dollari da parte dell’Associazione dei brokers, l’allentamento dei vincoli, già molto laschi, per fare ricorso al debito nel trading.

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