Marò, la conferma delle colpe italiane: l’India dovrà accettare l’arbitrato

11 Lug 2015 12:10 - di Redattore 89
marò arbitrato

Potrebbe arrivare a una svolta la vicenda dei due marò. L’India, infatti, non avrebbe altra chance che accettare la celebrazione dell’arbitrato internazionale, formalmente richiesto dall’Italia a fine giugno. A rivelarlo sono state fonti vicine alle autorità indiane, nel corso di un colloquio con il quotidiano Hindustan Times.

Ecco perché l’India deve accettare l’arbitrato

«L’Italia ha formalmente chiesto un arbitrato internazionale nel caso dei due fucilieri nell’ambito della Convenzione dell’Onu sul diritto del mare (Unclos)», ha spiegato la fonte, chiarendo che «l’India è firmataria di tale Convenzione che, con l’articolo 287, fornisce metodi di soluzione delle dispute. E il presupposto legale di base è che se una parte in una vertenza cerca un arbitrato, l’altra dovrà dare il suo accordo». La notizia, che apre uno spiraglio per la sorte di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, getta però un’ulteriore ombra sul modo in cui l’Italia ha condotto la partita per il loro rilascio. Perché – ci si domanda – l’arbitrato internazionale è stato chiesto solo a fine giugno, dopo quasi tre anni e mezzo dall’arresto dei due militari italiani, avvenuto nel febbraio 2012?

La rivelazione di Dagospia sul governo Monti

Una risposta indiretta l’ha fornita un paio di giorni fa Maria Ida Maglie su Dagospia, con la rivelazione dell’esistenza di una lettera del marzo 2013 in cui l’allora ministro della Giustizia Paola Severino si opponeva al rientro in India dei due fucilieri, in Italia per una licenza straordinaria. In quella lettera il Guardasigilli, la cui posizione era condivisa anche dal ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, ricordava all’esecutivo Monti quello che era chiaro a tutti: l’India non aveva diritto di trattenere di due fucilieri italiani. Per almeno due motivi. Il primo era che la dinamica dell’incidente, in cui persero la vita due pescatori indiani e che valse l’arresto di Latorre e Girone, era tutta da chiarire; il secondo era che, in ogni caso, l’incidente era comunque avvenuto in acque internazionali, come dimostravano con chiarezza i rilievi satellitari.

I Marò rimandati in India perché «pecunia non olet»

Invece il governo Monti decise di rimandare i due marò in India, dietro le forti pressioni – ha sostenuto la Maglie – dell’allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera. Il tutto, è la sintesi dell’articolo di Dagospia, per ragioni commerciali. «Pecunia non olet», ha scritto la giornalista, facendo riferimento anche al fatto che già in quel marzo del 2013 c’era pronto «un bell’arbitrato in totale legalità». Invece, per altri due anni è andata avanti una vicenda che la Maglie ha definito «peggio di una telenovela» e che ancora oggi continua a prolungarsi in modo estenuante.

Le prossime scadenze

Altre “puntate” sono già in programma. Una riguarda l’imminente scadenza del permesso per Latorre di rimanere in Italia per curarsi, dopo l’ictus che lo ha colpito il 31 agosto scorso. Il permesso scadrà il 15 luglio e, ancora secondo l’Hindustan Times, i legali del marò hanno presentato una istanza alla Corte Suprema in cui chiedono che possa restare in Italia, anche in relazione alla richiesta di arbitrato internazionale. La questione dovrebbe essere esaminata dalla Corte la settimana prossima. L’altra riguarda proprio l’arbitrato internazionale: sempre la Corte suprema sta esaminando il caso, ma non si hanno notizie sul tempo che la pratica potrebbe richiedere. Pesano le mosse del governo indiano, che ha richiesto un parere legale al riguardo e che ha convocato, per le prossime ore, una riunione di rappresentanti dei ministeri di Interni, Esteri e Giustizia, per definire una posizione da presentare nella prossima udienza.

 

 

 

 

 

 

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