Su crescita e sviluppo Italia ultima in Europa. Confcommercio: colpa di tasse e inefficienze della Pa

8 Ago 2014 11:31 - di Valerio Pugi

L’Italia stenta a ripartire e la conferma viene anche da Confcommercio: tra il 1996 e il 2013 il nostro, tra gli Stati dell’Unione europea e le dieci principali economie Ocse, è il Paese che ha registrato le più basse dinamiche di crescita del Pil pro capite con appena il +2,1%, ben lontano dai principali competitors europei, come Francia (+18%), Spagna (+24,5%), Germania (+25,4%) e Regno Unito (+31,9%). E’ quanto rileva uno studio dell’associazione dei commercianti, secondo il quale la crescita nella Ue a 28 è stata del 27,4% e nell’Eurozona del 20%. La distanza – sottolinea Confcommercio – è ancora più forte rispetto ai Paesi dell’Est e del Nord Europa, cresciuti a tassi che vanno dal +47,8% dell’Ungheria fino al +168% della Lituania; un divario che emerge sia nel periodo pre-crisi (1996-2007), con una crescita inferiore di 10 punti alla media europea, sia nel periodo successivo (2008-2013), nel quale la riduzione del Pil pro capite è stata superiore a quella degli altri Paesi. I dati, secondo Confcommercio, «confermano non solo che le debolezze strutturali del nostro Paese sono precedenti ed estranee all’introduzione della moneta unica, ma soprattutto che, sebbene la crescita sia un problema che riguarda nel complesso tutta l’Europa, la maggiore difficoltà a riprendere il cammino della ripresa è una caratteristica tutta italiana. Tra le cause, l’eccessiva pressione fiscale, le inefficienze della Pubblica amministrazione e una struttura dei costi sfavorevole all’attività di impresa».

Sempre con riferimento ai dati del Pil negli ultimi anni, giovedì sera a “In Onda” su La7 è intervenuto lo stesso presidente del Consiglio: «È interessante ragionare sui dati perché la recessione tecnica dipende da segno meno consecutivo in ultimi due trimestri. Ma negli ultimi anni l’Italia ha il segno meno per 11 volte, tranne una pausa. Dalla recessione non siamo mai usciti tecnicamente». E ancora: «A noi servono 16 miliardi di spending review per il 2015, che ci permetterebbero di stare sotto il 3% deficit/Pil anche con una crescita non esaltante», ha proseguito Renzi ribadendo che le scelte sono della politica: «Noi non abbiamo un soggetto tecnico esterno che decide in autonomia».

 

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