Con Donato Lamorte se ne va l’uomo del dialogo. L’ultimo addio oggi al Don Bosco

21 Ago 2014 12:16 - di Antonio Pannullo

Lui me lo disse in un’intervista, pochi mesi fa, ripercorrendo la storia del Movimento Sociale e la sua personale, che furono sempre profondamente intrecciate: “Sì, ho fatto anche l’attivista, alla sezione Prenestino, ma presto capii che in realtà non mi interessava troppo. A me piaceva la macchina del partito, il suo funzionamento, la struttura”. E infatti è ciò che ha fatto negli ultimi decenni, prima col Msi e con Giorgio Almirante, di cui era l’uomo di fiducia, e quando si dice fiducia vuol dire fiducia totale e incondizionata, Almirante si fidava di Donato come di se stesso, in seguito con Gianfranco Fini, che seguì anche nello sfortunato percorso di Fli, pur non condividendolo. E aveva ragione lui, come sempre. Ma la fedeltà viene prima di tutto, e Donato Lamorte (nella foto l’ultimo a destra, durante una commemorazione di Acca Larenzia) in questo senso fu sempre coerente e disciplinato. Lui non si faceva troppe domande, aveva scelto una strada e la percorse tutta, diritta, senza mai deviare, e per questo oggi tutti lo onoriamo. Donato era la memoria storica del Msi e della lunga e travagliata storia di questo partito e degli uomini, delle donne e dei ragazzi che ne fecero parte. Noi giovani degli anni Settanta ce lo ricordiamo tutti, in Federazione, che fosse a via Alessandria o in via della Scrofa o in piazza Cavour, lui era sempre là, con la sua aria esternamente burbera e seria, ma con una grande profondità d’animo e di sentimenti che si scopriva solo dopo una lunga frequentazione. E non è un luogo comune. Con Rita Marino guidava la segreteria particolare del Segretario, che spesso accompagnava nei suoi impegni più importanti, anche i più delicati. Lo ricorda anche Donna Assunta nel suo libro dedicato al marito Giorgio. Era un’icona, un totem, sempre presente e comunque al corrente di tutto quello che accadeva dentro quel complesso e magmatico partito della fiamma. Ma non era questa la sua qualità, ossia quello di sapere sempre tutto, no. La sua qualità era quella di sapere e tacere, di rispettare la fiducia che i vertici del Msi, a cominciare da Almirante, gli davano incondizionatamente. Si poteva ben essere sicuri che un segreto affidato a lui era come chiuso in cassaforte, non fece mai non dico un pettegolezzo, perché era fuori dalla sua mentalità, ma non disse mai una parola fuori posto; insomma, non parlava a vanvera, e in questo senso dire che dovrebbe essere esempio ai politici di oggi è veramente pleonastico. In un mondo, quello della politica, dove la parola è lo strumento di lavoro, Donato si affidò al silenzio e alla riservatezza, andando controcorrente, come sempre, ma riscuotendo la stima di tutti, anche al di fuori del Msi. Le cariche, i pennacchi e le medaglie non lo hanno mai interessato, lui voleva stare in Federazione e lavorare affinché tutto funzionasse. In un ambiente dove molti avevano come obiettivo quello di raggiungere i palazzi del potere, ieri come oggi, Donato preferiva rimanere dov’era, per mettere a punto i meccanismi che regolavano non solo il partito, ma anche i rapporti istituzionali e non con gli altri partiti e la cosiddetta società reale. Solo nel 2001, a settant’anni, Fini lo convinse a candidarsi alla Camera, dove fu eletto per tre legislature di seguito. In precedenza era stato “solo” consigliere provinciale a Palazzo Valentini, perché lui preferiva così, poteva conoscere meglio la situazione di Roma e dedicarsi alla struttura.

Era nato il 1° marzo 1931 a Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, ma gli anni della guerra li trascorse in Africa. Da dove tornò alla fine del conflitto, andando ad abitare al quartiere Prenestino. Zona popolare, popolarissima, quasi tutta comunista, dove il fascismo però lasciò un segno importante, con l’edificazione di numerosi alloggi popolari, inaugurati da una visita trionfale di Mussolini in persona. Ma a parte questo, al Prenestino ci fu sempre una sezione del Msi, e c’era anche nel 1949, quando un giovanissimo Donato vi entrò per la prima volta accompagnato da un altrettanto giovane Matteo Petrone, ex della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale. Allora i locali della sede erano in via Perugia 21, dove Donato si iscrisse subito e dove trovò i due camerati con cui formò un trio memorabile: Enrico Cannone e Alberto Pompei. Stavano sempre insieme, e anche quando la vita li disperse, rimasero sempre in contatto, tanto che quando il primo dei tre, Cannone, morì, Donato mi chiamò su al partito e mi aiutò a fare un articolo in suo ricordo sul Secolo. Donato ha ricordato che quando arrivò alla sezione Prenestino (che era intitolata alla Medaglia d’Oro Francesco Maria Barracu), trovò Ignazio Di Minica, come leader giovanile e segretario Benito Condemi, che poi diverrà anche federale. “C’erano un’ottantina di persone, molti combattenti della Repubblica ma anche molti abitanti del quartiere. La sera ci radunavamo in sezione per imparare le canzoni della Rsi…”. Lamorte aveva un bellissimo ricordo della Prenestino, gli anni Sessanta, da lui definiti i l periodo d’oro, con oltre 500 iscritti, poi le gite a Predappio e il sabato le feste danzanti. Nel 1969 poi si trasferì in federazione, dove rimase sino al 1992, e dove rimase sempre malgrado i federali passassero: Caradonna, Gaetani Lovatelli, Fede, Carlucci e altri: loro passavano, ma Donato rimase sempre. Ci sarebbero migliaia di aneddoti e di storie da raccontare, da quando Almirante lo mandò come “uditore” alle riunioni che faceva il principe Junio Valerio Borghese, a quando trovò la bomba nei sotterranei del Palazzo dei Congressi all’Eur al congresso del Msi nel gennaio 1973 (circostanza di cui esiste una celebre foto, pubblicata dal Borghese), a tanti altri episodi. Ma voglio solo ricordare che quando noi ragazzi del Fronte avevamo bisogno di qualcosa, si “andava da Donato in federazione”, e 99 volte su 100 lui ci accontentava, si trattasse di soldi per un avvocato, che di colla per i manifesti, che di risolvere una qualche situazione che si era venuta a creare. Donato se poteva aiutava sempre. Una volta salvò Fini dall’espulsione, perché Almirante aveva dato ordine di cacciare dal Msi tutti quelli che avevano aderito a Lotta Popolare, la fronda al Msi che nacque alla fine degli anni Settanta, e Fini vi aveva aderito, insieme alla maggior parte dei dirigenti. Donato, a cui questo ragazzo piaceva, nascose la circostanza ad Almirante e Fini si salvò, venendolo a scoprire solo molti anni dopo, quando lui divenne segretario nazionale del Msi e trovò nella scrivania di Almirante il foglietto con cui Donato negava l’evidenza. «Per me era come un padre, ci sono centinaia di momenti condivisi con Donato che mi vengono in mente, per me questo è un momento di sofferenza autentica, lo ringrazierò sempre per tutto quello che mi dato», ha commentato Gianfranco Fini.

Tutta la nostra comunità umana e politica ha un grande debito verso Donato Lamorte, uomo schivo ma prezioso e generoso fino agli ultimi giorni della sua vita. Grazie.

Donato lascia la moglie Emma, le tre figlie Maria Letizia, Patrizia e Donatella e la sorella Bettina. La camera ardente ci sarà fino a questa mattina (sabato 23) presso la sede della Fondazione Alleanza Nazionale in via della Scrofa, 39, mentre le esequie saranno celebrate alla basilica di San Giovanni Bosco in via del Salesiani 9 a Cinecittà nel pomeriggio, alle 16.

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