Augello: il presidenzialismo non è la parola magica per riunire il centrodestra. Servono leader e progetto

20 Giu 2014 12:00 - di Gloria Sabatini

La campagna presidenzialista non può rappresentare il collante per la ricomposizione del centrodestra frammentato. La pensa così Andrea Augello, politico di lungo corso, oggi senatore del Nuovo centrodestra guidato da Alfano. «Non è su questo tema che può nascere una possibile federazione».

Ma da qualche parte si deve cominciare…

Per ripartire il centrodestra deve avviare una rivoluzione copernicana a cominciare dalla scelta di un nuovo leader attraverso le primarie. Certo, anche i temi e i programmi sono fondamentali, ma su questo terreno le distanze non sono così forti. C’è qualcuno che è contrario al presidenzialismo?

Su altri temi però il Nuovo centrodestra ha marcato le differenze da Forza Italia e Fratelli d’Italia. È al governo Renzi con tre ministri pesanti e il resto del centrodestra è all’opposizione

Il merito del Nuovo centrodestra è stato quello di avere evitato il voto anticipato quando a ottobre Berlusconi tentò di sfiduciare il  governo Letta. Se si fosse votato allora oggi staremmo molto peggio,  oggi sappiano che il Cavaliere non avrebbe potuto candidarsi e non avremmo avuto alcuna possibilità di influire sulle riforme costituzionali, sulla legge eletorale e sul resto. Quel dibattito è concluso.

Parliamo chiaro, se dal cantiere del centrodestra oggi diviso uscirà domani una federazione, Alfano lascia il Viminale ed esce dal governo?

Alfano ha sempre detto che l’esperienza delle larghe intesa era limitata nel tempo e finalizzataa a concludere un ciclo di riforme, della Costituzione, del lavoro, del fisco. Una parentesi per poi tornare alla normalità.

Che cosa vuol dire in politica “normalità”, uno pensa a Veltroni…

Significa un dialettica seria tra centrodestra e centrosinistra. Ricordo che solo un ambiente che non ha capacità di sintesi può legittimarsi insultando gli altri e drammatizzando i problemi. In politica vincono gli elementi funzionali. Le europee, al di là delle aspettative dei singoli partiti, hanno fotografato molto bene le forze in campo. Da qui si può ripartire e tra diciotto mesi, magari, sconfiggere Renzi a condizione che ci sia un’offerta politica da proporre.

Pochissimo sopra al 4 per cento, poteva andare meglio, non crede?  

Direi che è andata bene, i sondaggi ci davano intorno al 5. Nelle condizioni generali, e con quel simbolo anacronistico del quale ero all’oscuro, non era facile sfondare…

Anche nel Nuovo centrodestra esiste una dialettica interna tra filogovernativi e chi vorrebbe strappare con l’esecutivo?

C’è un dibattito aperto che spero prenda una forma politica. È stato abbastanza fastidioso trascorrere gli ultimi 7 mesi subendo attacchi continui da persone poche presentabili e maleducate. Bisogna rinnovare la classe dirigente lasciando indietro chi non è all’altezza. Non penso, però, a un rinnovamento su base anagrafica.

Non è un giovanilista convinto?

Proprio no, penso che dovremmo cerare dei processi innovativi e scremare tra chi è intelligente e chi non lo è. C’è un grande bisogno di creare un movimento nuovo,  soprattutto nella grandi aree metropolitane, che arruoli personalità valide che al momento, diciamolo, si vergognano a mettersi in campo. Il centrodestra vive una crisi che è soprattutto di reputazione, se si vuole ricominciare dalla federazione dobbiano dare vita a rinnovamento anche sul piano del metodo altrimenti si ridurrà tutto a un super-congresso.

 

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