I vinti che si consegnano al “nemico”: da Vendola a D’Alema, una resa senza onore

30 Mag 2014 20:13 - di Girolamo Fragalà

Fronde, frizioni, salti della quaglia, clamorosi ritorni all’ovile. Liti, chiarimenti, bracci di ferro. Leadership messe in discussione, vip della politica cancellati, ricerca disperata di una zattera per salvarsi dal naufragio. Dopo il voto, molti eserciti sono in disarmo, uomini stanchi e sconfitti, costretti alla ritirata, spesso a una resa senza condizioni.  Vagano senza meta. E in tanti decidono di consegnarsi al nemico, senza nemmeno preoccuparsi di salvare l’onore. È l’ennesimo segno di una politica immatura, infantile, che fa dell’interesse personale il proprio credo. È la politica di chi non è abituato a perdere e che, quando accade, si trova spiazzato, non ha i mezzi per uscirne fuori e riprendersi, rimboccarsi le maniche e rialzare la testa. Accade anche a chi di politica ne ha masticata tanta, come Nichi Vendola: «Renzi ha un’opportunità straordinaria, può essere il protagonista più forte per abbattere quello che è il nuovo muro di Berlino, l’austerity. E noi lo incalzeremo su quello, ogni superamento dell’austerity troverà il nostro incoraggiamento». Il leader di Sel, così, pietisce un aiuto, quasi lo supplica. Niente lotta dura senza paura, quei tempi sono passati e poco importa se il Pd di Renzi sembri più l’erede della vecchia Dc che un partito di sinistra. Poi c’è Di Pietro, dimenticato dagli elettori, leader di un partito estinto. Già in campagna elettorale sgomitava per farsi notare, ma dentro di sé aveva capito che la sua stagione era finita, che non c’era niente da fare, condannato allo zero virgola. Ora spera che Renzi – sì, quel ragazzotto che in altri tempi avrebbe guardato con ironia, alla che c’azzecca con la politica – si accorga di lui. Ma è difficile, molto difficile che possa conquistare un posticino al sole. Inutile soffermarsi su Monti, già traslocato altrove, anzi approdato sulla sponda “democratica”. Lui, il professorone, il salvatore della patria, il più potente dei potenti, amico dei banchieri e della Merkel, umiliato dagli elettori e ridotto ad accodarsi al vincitore. Ma è stato anche il più furbo, perché ha abbandonato la nave prima ancora che andasse a sbattere contro l’iceberg delle elezioni e ha conservato il posto di senatore a vita nonostante tutti,  proprio tutti, gli dicessero di dimettersi, quantomeno per salvare la faccia. Hanno alzato bandiera bianca anche D’Alema e i massimi dirigenti della corrente anti-Renzi del Pd, lasciando che i loro uomini – militanti e medio vertice – rimanessero stritolati dalla resa dei conti interna al partito. Alla si salvi chi può. Vae victis, le condizioni di resa le dettano i vincitori sulla sola base del diritto del più forte. Ma esiste anche la sconfitta con onore, un concetto che la politica di bottega non conosce. E forse proprio per questo perde.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *