Super compensi, il Pdl incalza la Rai dei “sobri”. Salta il salatissimo show di Benigni. E si indaga su Sanremo…

16 Ott 2013 20:52 - di Guglielmo Federici

Piomba un altro macigno ad aggravare i veleni sui mega-compensi di Viale Mazzini. Appalti e spese varie della Rai sarebbero nel mirino degli ispettori della struttura di internal auditing. Ne dà notizia il settimanale Panorama, nel numero in edicola, secondo il quale sono state avviate due diverse indagini: una sul festival di Sanremo e una sulla gestione amministrativa della sede di Londra, di cui è responsabile Antonio Caprarica. Gli ispettori della Rai, scrive Panorama, si stanno occupando di due dirigenti che hanno gestito il bando della gara d’appalto da 400 mila euro per le luci e i sistemi audio del Festival condotto da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Ci sarebbero irregolarità nel capitolato, finalizzate a far vincere una determinata società. Finora – sostiene il settimanale – sono partite due lettere di contestazione e il responsabile dei grandi eventi Rai è stato sospeso in via cautelativa. Non basta, anche gli appalti di altre edizioni festivaliere sarebbero nel mirino dell’audit. Come pure, al di là di Sanremo, gli appalti esterni dell’area montaggio della Rai. A Londra, invece, scrive ancora il settimanale, gli ispettori avrebbero riscontrato imprecisioni amministrative nella sede Rai.  Le due inchieste si aggiungono a quella sulla scarsa trasparenza nel sistema degli “omaggi” aziendali, avviata all’inizio dell’anno dopo una mail anonima: 300 mila euro annui senza indicare i nomi dei beneficiari né i mittenti.

Due tegole che si abbattono sul servizio pubblico proprio mentre l’effetto-Brunetta sta dando i suoi frutti, spingendo l’azienda a un imbarazzato dietrofront sui mega-compensi stellari: saltato il contratto faraonico di Maurizio Crozza, ora arriva lo stop ai “Dieci Comandamenti” di Benigni, previsto per dicembre in dodici appuntamenti. La motivazione ufficiale – sopraggiunti impegni all’estero dell’artista – non convince, certo più realistica è la bellezza di un risparmio di un cachet da 4 milioni di euro. Insomma, il “bubbone” delle spese folli è esploso in tutto il suo fragore. Fino a poche ore fa la Rai ha fatto quadrato intorno ai suoi sprechi attraverso le parole del direttore generale Luigi Gubitosi in difesa di Fazio, che per la cronaca percepirà un compenso di 5,4 milioni di euro per i prossimi tre anni: «Ci sono professionalità, come quella di Fazio che sono un grande valore per la Rai e per i telespettatori». Genio e creatività non hanno prezzo secondo Gubitosi e tutto il vertice “sobrio” dell’era montiana che doveva coniugare qualità e rigore. Nella proclamata sobrietà c’è anche il valore dell’equilibrio, ma anche questo è disatteso da Fazio, come ricorda Brunetta. Anche qui Gubitosi si è impegnato in una difesa d’ufficio inutile sostenendo che il conduttore  ha dato la possibilità di esprimere la propria opinione a tutti. Ma è sconfessato dai numeri: i dati forniti dall’AgCom sulla base dei dati dell’Osservatorio di Pavia, per il ciclo di trasmissioni 2012-2013 parlano di un «Pd al 61,96% del totale del tempo di parola fruito dai soli soggetti politici; contro un Pdl al 5,17%. Un rapporto di dodici a uno a favore del Pd. «Gubitosi si dimetta», va giù duro Brunetta. Non più tenero di lui Maurizio Gasparri che dai microfoni della Zanzara su Radio 24 va giù duro: «Lui e Crozza vadano in tv con un cartello con su scritto lo stipendio, come il numero della Banda Bassotti. La Rai – dice ancora – non è un’associazione segreta, non è la P2. O va in onda con un cappuccio o dica i suoi compensi». Pesante, pesantissimo. In più inveisce anche il Codacons contro Gubitosi e ne chiede le dimissioni per le «banalità senza ritegno» riversate sui cittadini. «Agli italiani non interessa sapere cosa pensi Gubitosi del lavoro svolto da Fazio , quello che vogliono sapere è quanto venga pagato  per svolgere quel lavoro e come la Rai utilizzi i soldi pubblici sul fronte dei cachet». Qui nessuno è fesso, ancora una volta Gubitosi aggirato le domande dirette dimostrando che la voglia di trasparenza non è di casa. Per il momento.

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