Federalismo ko: anche la Corte dei Conti fa le pulci alle Regioni

18 Set 2013 17:34 - di Mario Landolfi

Una radiografia impietosa accompagnata da un referto inconfutabile: il male oscuro dell’azienda Italia si annida nelle Regioni. È qui – soprattutto per effetto della riforma del Titolo V della Costituzione pervicacemente voluta dalla sinistra nel 2001 – che lievita come pane appena infornato il debito pubblico. Non c’è spending rewiew che tenga né cura dimagrante che funzioni se non si mette mano ad una seria ed equilibrata controriforma in grado di ricondurre a razionalizzazione le centrali di spreco disseminate in ogni angolo dello Stivale.
A fotografare questa autentica galleria degli sperperi è la relazione della Corte dei Conti sulle spese regionali e ce n’é per tutti, dall’operosa Lombardia alla sonnacchiosa Sicilia passando per il piccolo Molise e la popolosa Campania. Ovunque fioriscono società regionali, partecipate, finanziarie, scatole cinesi con bilanci approssimativi, documentazioni carenti e personale in esubero. È sempre il Sud a rompere il muro della fantasia e a far galoppare la spesa ma – seppur con maggior sussiego – anche il Nord non disdegna di offrire il proprio decisivo contributo all’impennata del debito.
Videro bene Almirante, La Malfa e Malagodi quando profetizzarono che l’avvio del regionalismo non avrebbe favorito il decentramento ma moltiplicato il clientelismo, non avrebbe avvicinato le istituzioni al cittadino ma incistato la partitocrazia sul territorio, non avrebbe semplificato ma terribilmente complicato i meccanismi decisionali. Esattamente quel che sta accadendo vieppiù ora che il regionalismo è stato gonfiato fino a rendere lo Stato centrale un arnese più o meno ornamentale nella governance repubblicana.
Un’analisi lucida, la loro. Soprattutto attualissima e tuttora in attesa di un soggetto in grado di tradurla politicamente. Non è un’esigenza del solo sistema istituzionale (e scusate se è poco) ma una necessità invocata a gran voce dai settori produttivi della nazione, da ultimo a Cernobbio, sempre meno disposti a muoversi in una giungla di leggi, competenze, regolamenti, burocrazie e disfunzioni che produce conflitti di attribuzioni, contenziosi infinite ed incertezza del diritto. Quale imprenditore potrà mai a cuor leggero investire in uno dei settori nei quali la Costituzione attribuisce funzioni sia allo Stato che alle regioni? E quale sindaco o amministratore locale può dirsi certo che una sua qualunque decisione in una materia di cosiddetta legislazione concorrente non rischierà l’impugnativa davanti alla magistratura amministrativa? Dalla paralisi decisionale non si salva più nessuno, né il pubblico né il privato, né il livello nazionale né quello territoriale. Bisogna convincersi che qualsiasi discorso sul declino italiano non può che partire dalla soluzione di questo inestricabile nodo. Così come nessun proposito di riemersione di una destra o di un centrodestra credibile risulterà mai attuabile se al centro della sua azione politica non figurerà il tema del recupero dello Stato nazionale quale contenitore esclusivo della sovranità nazionale. Tutto il resto è inutile giaculatoria.

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