Passare intercettazioni ai giornali è incivile e illecito. Impedirlo non è un bavaglio

15 Mag 2013 17:44 - di Marcello De Angelis

Il Pdl ha ripresentato la proposta di legge formulata da Alfano nella legislatura precedente, volta a regolamentare l’utilizzo delle intercettazioni e soprattutto la loro pubblicazioni. Ovviamente si è riscatenata la polemica. Mi ha sempre sorpreso, in primis da giornalista, che qualcuno possa sostenere che impedire lo spaccio di brandelli di intercettazioni tra uffici giudiziari e redazioni limiterebbe la libertà di informazione. Mi sono sempre chiesto se davvero ci sia un solo giornalista in Italia che, quando riceve da non si sa chi un testo parziale di una conversazione privata, non abbia la consapevolezza che si sta prestando a un gioco sporco e sta facendo il killer per conto terzi. Mi riesce anche impossibile pensare che ci sia un solo giudice che possa negare che si tratti di un commercio illecito. Chiunque faccia trapelare – o peggio ancora venda – documenti relativi a un procedimento giudiziario commette chiaramente un atto improprio e contro la legge. Perché le intercettazioni invece dovrebbero essere considerate diversamente? Vieppiù quando, secondo la normativa vigente, intercettare conversazioni altrui è considerato un atto criminale e – per chi non lo sappia – in violazione della Costituzione persino se a compierlo è l’autorità giudiziaria, in assenza di validi motivi. In tutti i Paesi del mondo considerati più o meno civili e più o meno Stati di diritto, la pubblicazione delle intercettazioni è vietata. Negli Usa – dove fanno sempre le cose strane – puoi pubblicarle a sostegno di una denuncia di illeciti altrui, ma se la persona o le persone a cui hai rivolto le accuse risultano innocenti l’atto di aver pubblicato documentazione che li riguardi viene trattato come un atto criminale. Tempo fa mi è capitato di commentare con altri colleghi il fatto che un collaboratore di un’agenzia di stampa aveva messo in rete un resoconto – risultato, se non falso, almeno falsato – di una conversazione tra politici che aveva origliato. Io sostenevo che la cosa fosse inammissibile, sia legalmente che moralmente, e che origliare è un comportamento professionalmente scorretto e poco dignitoso. A maggior ragione se uno origlia male… Uno dei colleghi – giovane in ascesa – ha gettato le mani al cielo è quasi gridato: «Ma come? Volete impedire la pubblicazioni delle intercettazioni, non volete che si origli… Ma uno come fa a lavorare?!!». La risposta ovviamente non è complicata: come si faceva prima. Cioè documentandosi e verificando le fonti. Ma ora le fonti sono Wikipedia e – al massimo – le agenzie. E pubblicare paginate intere di intercettazioni che ti passa l’amico in tribunale per un piccolo compenso è, sicuramente, più facile e più soddisfacente. Ma con il diritto dei cittadini all’informazione – che non è il diritto dei giornalisti di informarli selettivamente e parzialmente – non c’entra proprio nulla.

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