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Ermenegildo Rossi, lo steward medaglia d’oro che ha fermato un dirottatore: “Lui oggi lavora all’Unesco, l’hanno liberato dopo un anno e mezzo

Un eroe

Ermenegildo Rossi, lo steward medaglia d’oro che ha fermato un dirottatore: “Lui oggi lavora all’Unesco, l’hanno liberato dopo un anno e mezzo

Cronaca - di Gabriele Caramelli - 21 Dicembre 2025 alle 09:11

Ci sono eroi che non indossano una maschera, ma una divisa da assistenti di volo. Come nel caso di Ermenegildo Rossi, ex steward dell’Alitalia, che il 24 aprile del 2011 ha fermato il dirottamento di un aereo sulla linea Roma-Parigi, che in base alle volontà di un malvivente sarebbe dovuto atterrare a Tripoli. Soltanto 6 anni dopo, nel 2017, ha scoperto di essere stato insignito della medaglia d’oro al valore civile dalla presidenza della Repubblica, ma senza mai aver partecipato a una cerimonia ufficiale. Come ha raccontato in un’intervista al Secolo d’Italia, «è stato difficile anche ritirarla». Il dirottatore Valery Tolmachyov, invece, «è stato liberato dopo un anno e mezzo, ma all’epoca dei fatti era il traduttore ufficiale del presidente del Kazakistan. Oggi lavora all’Unesco».

L’ex assistente di volo, che oggi è il responsabile Ugl di Roma e provincia, ha spiegato di essere rimasto “esterrefatto” dopo aver visto la sua collega con il coltello puntato alla gola dall’aggressore, ma «in quel momento ho capito che avrei dovuto fare qualcosa». E così è stato. La storia di Ermenegildo Rossi è stata raccontata da Emanuele Merlino in un libro intitolato “Un eroe”, pubblicato da Eclettica nel 2022, con la prefazione di Giorgia Meloni, che da lì a poco sarebbe diventata la prima premier donna italiana. Comunque sia, l’eroe italiano si dice orgoglioso di aver ricevuto lo stesso riconoscimento di un personaggio storico come Norma Cossetto, «una donna che ha deciso di non tradire l’Italia a costo di farsi violentare e infoibare dai partigiani titini in Ex Jugoslavia».

Cos’è accaduto il giorno del dirottamento?

«Tengo a precisare che per me è stato un dramma. Era il 24 aprile del 2011, il giorno di Pasqua. All’inizio l’ambiente era molto sereno, cerano circa 140 persone a bordo, la classe economica era quasi piena e la business class semivuota. Stavo comminando all’indietro per portare il carrello con una collega verso la testa dell’aereo. Il dirottatore, Valery Tolmachyov, era seduto all’altezza della seconda porta, sul lato del corridoio. Quando lei gli ha dato le spalle, lui si è alzato e le ha messo un coltello vicino alla gola. Gli ho chiesto cosa volesse in inglese e lui mi ha risposto in italiano: “Questo aereo va a Tripoli”. Poi ho chiesto di prendere me come ostaggio e ho detto ai passeggeri di non muoversi, anche se lui non l’ha fatto. Successivamente ho preso il citofono (pubblic address ndr), affermando che avrei avvertito il comandante per spiegargli che eravamo sotto dirottamento. Ho chiesto al dirottatore di spostarci verso la business class anziché stare lì: così Tolmaychov ha iniziato a trascinare la collega camminando all’indietro, mentre io li seguivo. C’è stata un po’ di turbolenza e lui ha urtato la coscia sul bracciolo, ma per tenersi in equilibrio ha disteso il braccio in cui teneva l’arma. Ho afferrato immediatamente il suo polso, mentre provava a tirarmi diverse coltellate senza riuscirci e poi gli ho tirato una spallata. Lui è caduto assieme alla mia collega e io l’ho seguito tenendogli il braccio. Così gli ho dato con un pugno sui testicoli e ha iniziato a urlare dal dolore. Sono riuscito a togliergli il coltello ferendomi ovunque sulle mani e l’ho buttato sul corridoio, urlando alla collega di prenderlo e scappare. Quando se n’è andata siamo rimasti soli e ho iniziato a picchiarlo fortemente, legandogli le mani e i piedi con la mia cinta, usandone un’altra che mi avevano portato i passeggeri. Con il medico che era a bordo gli abbiamo dato 5cc di valium e alla fine siamo atterrati a Roma. Fuori ci aspettavano le forze dell’ordine oltre a un’autoambulanza, ma ho rifiutato di andarci, firmando un foglio di scarico delle responsabilità. Dopo 6 anni sono andato guardare sul sito e ho scoperto di essere stato insignito della medaglia d’oro al valore civile, ma non c’è stata alcuna cerimonia e, come racconta Emanuele Merlino nel libro, è stato difficile anche ritirarla».

Cos’hai provato alla pubblicazione del libro?

«Non immaginavo che ci fosse la prefazione del Presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, ma quando l’ho scoperto sono stato orgoglioso e onorato. Oltretutto oggi quella firma appartiene alla nostra premier. Abbiamo fatto diverse ricerche assieme a Emanuele Merlino, anche per avere degli atti ufficiali. Il dirottatore è stato liberato dopo un anno e mezzo, era il traduttore ufficiale del presidente del Kazakistan, oggi lavora all’Unesco. Sono cose che abbiamo scoperto con il tempo e siamo anche riusciti ad ottenere la sentenza con una difficoltà incredibile: lì sono quasi svenuto quando ho saputo che fosse nuovamente a piede libero, perché dalla perizia psichiatrica è venuto fuori che lui sentisse la “voce del diavolo” durante il dirottamento, dunque non era capace di intendere e di volere. Io pensavo che fosse ancora nel carcere di massima sicurezza a Civitavecchia. Comunque, nel caso di Valery Tolmachyov, parliamo di una persona di grande cultura e che parlava sei lingue».

C’è qualcos’altro che ti ha colpito nella personalità del dirottatore?

«Dopo averlo legato ha iniziato a chiamarmi per nome e mi ha chiesto di portargli qualcosa per coprirsi il volto una volta arrivati a Roma. Ho preso il suo bagaglio, sapevo che dentro c’erano tre magliette bianche, tre paia di mutande e calzini. Così ho scelto di dargli una delle sue t-shirt: nelle foto su internet, infatti, è possibile vederlo mentre viene scortato dagli agenti con il volto coperto. Gli ho fatto anche una domanda, mentre eravamo a bordo. Gli ho chiesto perché avesse provato a prendere il controllo dell’aereo e lui mi ha risposto in un modo incredibile: “Ermenegildo, se ti raccontassi il motivo, tu non avresti un posto nel mondo in cui nasconderti”. A quel tempo non sapevo ancora niente di lui».

Tu cos’hai provato durante il dirottamento?

«Nel momento in cui ho visto la collega con il sangue alla gola sono rimasto esterrefatto, ma in quel momento ho capito che avrei dovuto fare qualcosa».

Ha almeno un ricordo specifico “positivo” di quella giornata?

«Nonostante tutto, sono stato contento quando i passeggeri mi hanno abbracciato mentre scendevano due alla volta dall’aereo per essere identificati. Non dimenticherò mai anche una coppia di anziani turisti giapponesi. L’uomo mi aveva fatto un inchino e non si muoveva più, anche se gli chiedevo di rialzarsi. l’ho dovuto portare io fino all’uscita ed è rimasto tutto il tempo in quella posizione per la gratitudine. Poi ho scoperto che quel gesto è un segno di omaggio che i giapponesi rivolgevano all’imperatore, o a chi ha fatto qualcosa di molto importante. È bellissimo sapere di avere una medaglia d’oro come Norma Cossetto, una donna che ha deciso di non tradire l’Italia a costo di farsi violentare e infoibare dai partigiani titini in Ex Jugoslavia».

 

 

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