Il nuovo peccato capitale
Naomi Seibt fugge dall’Europa progressista: se sei bionda, libera e di destra, il rogo è garantito
Ogni volta che una giovane donna di destra osa parlare, la sinistra mostra il suo lato più illiberale. «I media di propaganda finanziati dai contribuenti monopolizzano la narrazione e diffamano costantemente»
Non è la prima, e di certo non sarà l’ultima. Ogni volta che una ragazza giovane, bionda, istruita e di bell’aspetto osa simpatizzare con la destra, si scatena la caccia alle streghe. La narrativa è sempre la stessa: non può essere intelligente, non può essere libera, non può avere idee proprie. Deve essere un mostro, una manipolata, una minaccia. Oggi tocca a Naomi Seibt, venticinque anni, tedesca, la più influente voce del conservatorismo giovanile in Germania, che ha deciso di chiedere asilo politico negli Stati Uniti.
Naomi Seibt, la nuova eretica
“Sono la prima tedesca a chiedere asilo sotto l’amministrazione Trump per persecuzione politica”, ha scritto su X. Denuncia di essere spiata dai servizi segreti, diffamata dai media pubblici e minacciata dagli antifascisti. Il suo reato? Avere sostenuto Alternative für Deutschland (AfD), partito oggi in testa ai sondaggi, ma bollato dai servizi interni come “movimento di estrema destra accertato”.
I giornali la liquidano come “anti-Greta”, come se fosse solo una caricatura reazionaria. In realtà, Seibt è una voce politica lucida e controcorrente, che parla di libertà individuale, identità culturale, limiti del potere statale. È stata lei, lo scorso anno, a mettere in contatto Elon Musk con Alice Weidel, leader di AfD, aprendo quel dialogo che ha reso pubblica la simpatia di Musk per il movimento tedesco. Oggi Seibt chiede protezione a Washington, sostenuta dalla deputata repubblicana Anna Paulina Luna, che ha promesso di assisterla personalmente.
L’eresia di essere donna (e non progressista)
Ma al di là del caso politico, colpisce il copione mediatico che si ripete. Le parole di Naomi non vengono discusse: vengono demonizzate. «I media di propaganda finanziati dai contribuenti monopolizzano la narrazione e diffamano costantemente», ha scritto. Il fatto che sia giovane, donna e attraente è un moltiplicatore di odio. Perché una donna che non recita la parte assegnata dall’establishment progressista — vittima o icona, ma mai pensatrice libera — è un’anomalia da correggere o da eliminare mediaticamente.
Accadde lo stesso a Eva Vlaardingerbroek, la commentatrice olandese che osò parlare di famiglia, radici e libertà di pensiero. Fu dipinta come un pericolo pubblico, ostracizzata, ridicolizzata. Oggi vive serena in Italia, è mamma e moglie, ma solo dopo anni di linciaggio mediatico.
E in un registro diverso, ma con lo stesso riflesso culturale, anche attrici come Sydney Sweeney sono finite nel mirino del conformismo. Bastò uno slogan pubblicitario — “Great Jeans” — per scatenare l’accusa di “supremazia bianca” da parte dell’internazionale rossa.
Il solito moralismo
Tre storie, stesso schema: giovane, donna, bionda, di destra. Quindi scandalo, sospetto, persecuzione. Se parla, va zittita; se pensa, va ridicolizzata; se reagisce, è “pericolosa”. E così la libertà di espressione, brandita ogni giorno come vessillo dalle élite progressiste, diventa selettiva: vale solo se dice ciò che vogliono sentirsi dire.
La nuova inquisizione non brucia più i corpi, ma le reputazioni. Non costruisce roghi, ma hashtag.
L’Occidente e la paura della libertà
Il caso Seibt è solo l’ultimo sintomo di un’Europa che fatica sempre più a tollerare il dissenso. Mentre negli Stati Uniti la polarizzazione politica è esplicita e combattuta alla luce del sole, il vecchio continente tende a mascherare il controllo culturale dietro la retorica del “bene comune”. La libertà, in questo modo, non è più un principio, ma una concessione condizionata.