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Maschera del Teatro La Scala Licenziata, la sentenza la ripaga ampiamente)

Dalla piazza al palco

Grida “Palestina libera” a scena aperta, la maschera della Scala licenziata risarcita (ampiamente): il diritto a propaganda e caciara è ripagato

La dipendente a contratto licenziata dal Teatro per aver inneggiato allo slogan pro-Pal durante un evento con la premier Meloni ottiene il risarcimento per le mensilità restanti. Il caso apre a interrogativi al momento senza risposta...

Cronaca - di Giulia Melodia - 27 Novembre 2025 alle 15:16

La giustizia, si sa, ha i suoi percorsi. E a volte, anche i suoi teatri: in questo caso, per l’esattezza: il Teatro alla Scala di Milano, dove il principio della “libera espressione” ha appena avuto la sua più fragorosa e, diciamocelo, discutibile consacrazione. Sì, perché mercoledì 24 settembre è iniziata l’udienza sul caso della maschera che ha urlato “Palestina Libera” alla Scala di Milano durante uno spettacolo dello scorso 4 maggio. Con tanto di sindacato riunito in presidio per “la collega e la compagna”, che ha rivendicato il diritto alla propaganda e alla ciaciara a tempo debito e a chiare lettere tramite i manifestanti, davanti al Palazzo di Giustizia. Tutto per dare linfa polemica al diritto allo sfregio.

E nelle scorse ore la vertenza è arrivata a verdetto. Con tanto di monito del rappresentante del sindacato Cub, Roberto D’Ambrosio che ha tuonato: «Ora il teatro le rinnovi il contratto per evitare altre cause».

Maschera della Scala licenziata: grida Palestina libera a scena aperta. Ma la sentenza la “ripaga”

La vicenda è quella che risale allo scorso 4 maggio, quando una maschera del Teatro La Scala, cioè quella figura che si occupa dell’accoglienza e dell’assistenza della platea durante gli spettacoli, ha gridato “Palestina Libera” mentre la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni stava entrando in sala. L’evento era il concerto inaugurale, non aperto al pubblico, della 58esima assemblea dell’Asian Development Bank, organizzato dal Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze).

E il Cub esulta alla vittoria e chiama alla mobilitazione

Ebbene, proprio in queste ore apprendiamo con un misto di incredulità e sardonico stupore che la maschera a contratto, divenuta celebre per aver trasformato una tranquilla giornata lavorativa in un exploit a sorpresa, intempestivo quanto fuori luogo, gridando “Palestina libera” nel tempio della musica e dell’opera lirica, non solo non dovrà affrontare sanzioni. Ma sarà addirittura risarcita del danno arrecatole dalla vertenza.

Lo comunica, trionfalmente, la Confederazione unitaria di base (Cub), celebrando la sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano come una vittoria del diritto dei lavoratori di trasformare la propria divisa in un megafono politico. E un luogo sacro dell’arte in musica in una piazza di rivendicazione politica e sociale (naturalmente sempre in chiave anti-governativa)…

Addio decoro, benvenuta l’anarchia da improvvisare in palcoscenico?

La vicenda è nota: in un luogo che dovrebbe essere sinonimo di rigore, talento, eleganza e dedizione al servizio del patrimonio culturale, si è verificato un “fuori programma” non richiesto. Un’esternazione dalla matrice politica e dal forte impatto contestatario improvviso, perfettamente in linea con la logica del clamore mediatico, ma decisamente fuori luogo rispetto alle mansioni contrattuali e al buon gusto.

Ebbene, grazie al verdetto che il Cub esalta, il messaggio è cristallino: non solo “gridare Palestina libera non è reato” (e chi l’ha mai sostenuto?), ma il Tribunale stabilisce che non è nemmeno motivo valido per il licenziamento, se non con risarcimento annesso. Ci chiediamo: quale “glorioso” precedente è stato stabilito? Sembra che il verdetto abbia voluto dare vigore alla protesta Pro-Pal – o a qualsiasi altra bandiera sventolabile – finanche nei luoghi e nei momenti in cui la professionalità e il decoro dovrebbero imporre il silenzio e il rispetto del ruolo.

Scala, la lavoratrice risarcita: “Gridare Palestina libera non è reato”

Stando alla sentenza, infatti, la maschera licenziata dal Teatro alla Scala (aveva un contratto a termine) sarà risarcita «di tutte le mensilità che intercorrono dal licenziamento alla scadenza naturale del contratto. Il Teatro dovrà anche coprire le spese di lite. Lo abbiamo sostenuto sin dall’inizio che gridare “Palestina libera” non è reato. E che i lavoratori non possono essere sanzionati per le loro opinioni politiche». E lo rende noto, con un comunicato, la Confederazione unitaria di base (Cub) dando atto della sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano.

Maschera della Scala licenziata e invito allo sciopero: tutti in piazza

«Ci congratuliamo con la nostra lavoratrice e con il suo legale. Ringraziamo tutti i lavoratori della Fondazione Scala che hanno sostenuto sin dall’inizio la nostra richiesta di mobilitazione in solidarietà con la collega licenziata con scioperi, presidi e raccolte firme» si legge. «A oggi – riporta la nota – è sempre più necessario organizzarsi con il sindacalismo di base per far valere i propri diritti. Invitiamo tutte le lavoratrici e i lavoratori, e i solidali con la vicenda della maschera licenziata, a scendere in sciopero venerdì 28 novembre ore 9.30 a Porta Venezia, e a partecipare alla manifestazione di sabato 29 novembre ore 14 da Piazza XXIV maggio».

Un incoraggiamento ufficiale a ogni intempestività propagandistica?

In sintesi, allora, la sentenza, che obbliga il Teatro alla Scala a risarcire la lavoratrice di «tutte le mensilità che intercorrono dal licenziamento alla scadenza naturale del contratto», suona come un incoraggiamento ufficiale a ogni intempestività. Come un invito a considerare il luogo di lavoro non più come un ambiente di servizio, ma come la piazza ideale per l’ultima, inattesa performance politica.

Immaginiamo già lo scenario: il tecnico delle luci che, durante la celebre aria del Nessun Dorma, si lancia in un monologo sulle tasse. O il commesso di un negozio di alta moda che, al momento del pagamento, arringa la clientela sulla riforma agraria. In fondo, grazie a questa pronuncia milanese, esprimere opinioni politiche, anche con un exploit a sorpresa intempestivo, è non solo lecito. Ma se si viene licenziati, per il disturbo si ha diritto a un bonus di risarcimento. Il sindacalismo di base esulta e chiama alle mobilitazioni. Noi, invece, ci permettiamo di versare una lacrima ironica per il buon senso, sacrificato sull’altare dell’attivismo a spese altrui. E per la cultura, ridotta ormai a un palchetto su cui salire per il proprio quarto d’ora di notorietà politicizzata.

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di Giulia Melodia - 27 Novembre 2025