
Condannato alla pena capitale
Prima condanna a morte per un post su Facebook: un 41enne tunisino rischia l’impiccagione per insulti social al presidente
È arrivata in questi giorni la prima condanna a morte per un post su Facebook: l’incredibile sentenza, ai danni di un 41enne per avere proferito pesanti insulti nei confronti del capo dello Stato, tiene banco in queste ore su molti giornali internazionali. A emetterla un tribunale tunisino mercoledì scorso.
L’uomo, che ora rischia l’impiccagione, è accusato di una serie di post su Facebook ritenute offensivo nei confronti del presidente Kaïs Saied e lesive dell’ordine pubblico. L’uomo è identificato come Saber Chouchane, indicato anche come Saber Chouane, 41 anni, lavoratore giornaliero e padre di tre figli. La notizia, rilanciata dalla stampa locale e da esponenti del foro, ha suscitato un’ondata di indignazione in rete e la condanna della Ong Coalizione tunisina contro la pena di morte. Secondo le ricostruzioni pubblicate dalla testata francofona Business News, la sentenza è stata emessa lo scorso 1 ottobre 2025.
Chi è l’uomo che rischia l’impiccagione per un post su Facebook
“La Tunisia non esegue condanne a morte dal 1991 e dal 2012 ha sempre votato a favore delle risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per la moratoria sull’uso della pena capitale”, ma l’attuale presidente è intenzionato a introdurre di nuovo la pena capitale. In Tunisia le ultime volte si è optato tra plotone d’esecuzione e l’impiccagione.
Le imputazioni formulate dal Tribunale di primo grado Nabeul includono l’oltraggio al capo dello Stato, l’attentato volto a modificare la forma dello Stato e la diffusione di notizie false a danno di un pubblico ufficiale. Secondo businessnews.com.tn l’uomo su Facebook, usava lo pseudonimo “Kaïs Ettais” [Kaïs lo sventurato] per condividere post, a volte satirici e critici, su eventi di attualità in tutto il mondo e non solo sul Presidente della Repubblica. L’ex ministro e avvocato Samir Dilou ha reso nota la decisione con un post in arabo, confermando l’esistenza del verdetto e i principali capi d’accusa. La Coalizione tunisina contro la pena di morte ha definito il pronunciamento “un verdetto di ingiustizia flagrante”, sollecitando la sua revisione e denunciando il ricorso a capi d’accusa di origine coloniale.
Arrestato e portato davanti all’unità giudiziaria antiterrorismo, ha visto la sua posizione trasferita alla giurisdizione ordinaria di Nabeul, che ha escluso la qualifica di terrorismo. Ma la sentenza emessa dalla camera penale è di una severità senza precedenti: pena capitale per aver scritto sui social network. Le accuse a suo carico erano gravi: “insulto al Presidente della Repubblica”, “attacco alla forma dello Stato” e “pubblicazione di notizie false contro un pubblico ufficiale”.
In parallelo, Business News ha riferito