CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

Turetta aggredito in carcere

Un caso nel caso

Turetta aggredito in carcere da un detenuto 55enne. La lezione di Gino Cecchettin: “La violenza non è la risposta”

Il giovane, condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin, nel mirino di un detenuto condannato per omicidio e tentato omicidio, è stato assalito e picchiato. E ancora una volta Gino Cecchettin ha reagito alla notizia con pacatezza, esprimendo dispiacere genuino e dichiarando: "Non ne sono felice"

Cronaca - di Lorenza Mariani - 18 Settembre 2025 alle 13:40

Silenzio e profilo basso non sempre sono sufficienti in carcere per evitare scontri, conflitti e, come accaduto a Filippo Turetta,  violenti attacchi. Il giovane omicida di Giulia Cecchettin, condannato in primo grado all’ergastolo per l’assassinio dell’ex fidanzata, torna alla ribalta della cronaca con un nuovo, inquietante capitolo: l’aggressione subìta all’interno del carcere di Montorio, a Verona.

Turetta aggredito in carcere

La notizia, riportata dal quotidiano L’Arena, e confermata da fonti all’Adnkronos, svela che il giovane è stato colpito da un altro detenuto, un uomo di 55 anni in carcere per omicidio e tentato omicidio, lo scorso agosto (anche se la notizia è trapelata solo ora). L’aggressione è avvenuta nella quarta sezione del penitenziario dove Turetta era stato trasferito dopo aver trascorso un periodo in un reparto protetto. E, al netto di contesti e procedure, il fatto torna a far puntare i riflettori sulle dinamiche complesse che regolano la vita in cella dei detenuti.

Un caso nel caso

Sì, perché come riporta il Tgcom24 Turetta sarebbe entrato del mirino del suo aguzzino 55enne già prima dell’aggressione. Come riferisce il sito, infatti, «il responsabile dell’aggressione avrebbe espresso alcuni giorni prima disappunto per la presenza di Turetta tra i detenuti della sua sezione». Poi, «dopo l’episodio di violenza, ne è stato disposto il trasferimento in cella di isolamento per 15 giorni». Quindi, scontata la settimana in solitaria, «il detenuto sarebbe stato trasferito in una cella singola, danneggiata però da colui che l’aveva occupata in precedenza» chiedendo a quel punto «di essere nuovamente trasferito e contemporaneamente, per protesta, avrebbe smesso di bere e mangiare, rifiutandosi anche di prendere i farmaci che gli sono stati prescritti».

Il papà Giulia: «La violenza non è la risposta»

«Non penso che la violenza sia la risposta». Sono le parole che Gino Cecchettin pronuncia – al Festival Pordenonelegge, e conferma all’Adnkronos — dopo la notizia che Filippo Turetta, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio della figlia Giulia, è stato aggredito in carcere. «Il messaggio che vorrei dare è che non mi fa sentire felice il fatto che Turetta sia stato aggredito. Perché ancora una volta vuol dire che dobbiamo lavorare», aggiunge. «Sono da condannare anche questi atti. E noi ci muoviamo in senso opposto. Vorremmo far capire alle persone che i sentimenti che portano a questo sono sbagliati. E da condannare», ha concluso Gino Cecchettin.

Gino Cecchettin, un simbolo di dignità e equilibrio

E allora, ancora una volta, nonostante il dolore straziante che lo ha colpito, Gino Cecchettin continua a distinguersi per una compostezza e una dignità rare. Trasformando la sua tragedia in un messaggio di civiltà. La sua reazione alla notizia dell’aggressione subita da Filippo Turetta in carcere ne è l’ennesima prova… Con la sua proverbiale pacatezza, Cecchettin commenta l’episodio con parole che riflettono una profonda saggezza. «Non penso che la violenza sia la risposta», dichiara a caldo. Proprio come nell’imminenza degli eventi delittuosi che gli hanno strappato una figlia amata, ha dimostrato fermezza. Equilibrio. Lungimiranza.

Le sue parole un faro, la sua “missione” una risposta

Ancora oggi, allora, anziché provare un senso di vendetta, un sentimento che molti riterrebbero comprensibile, Cecchettin esprime un dispiacere genuino. Le sue parole, «non mi fa sentire felice il fatto che Turetta sia stato aggredito, perché ancora una volta vuol dire che dobbiamo lavorare», dimostrano la sua visione a lungo termine: il problema non è la punizione, ma la cultura della violenza che la genera. Condannando anche l’aggressione in carcere, Gino Cecchettin rafforza dunque la sua missione: ovvero educare e far capire che «i sentimenti che portano a questo sono sbagliati e da condannare». E la sua coerenza morale, un faro di speranza in un mare di dolore, conferma la sua figura, simbolo di come la dignità e la non violenza possano essere le uniche risposte efficaci alla brutalità…

Non ci sono commenti, inizia una discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Lorenza Mariani - 18 Settembre 2025