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Beppe Sala

L'analisi

Beppe Sala, anatomia di un ex sindaco che ha perso da tempo la sintonia con Milano. Una città che oggi fa paura

Tra lapsus, inchieste, deflessioni, il primo cittadino sembra ormai avere smarrito ogni capacità propulsiva mentre Milano non è più un laboratorio di avanguardia politica

Politica - di Mario Campanella - 22 Settembre 2025 alle 18:54

Visto così, “lombrosianamente”, Beppe Sala sembra una persona perbene. Nonostante le inchieste che coinvolgono i suoi ex assessori, ed egli stesso, e un sistema che viene definito quasi come un convitato di pietra. Il punto, piuttosto è un altro: Sala, di fatto, non è più in sintonia con Milano e non ne è più sindaco da tempo. Lo dimostra quotidianamente, senza assumersi le responsabilità dovute.

Il lapsus sugli europei e la questione San Siro

Non è che si lapida un uomo, seppure di questo profilo istituzionale, per un lapsus, ma che il primo cittadino della città economicamente più importante d’Italia, non sappia che gli europei del 2032 l’Uefa li abbia già assegnati congiuntamente a Italia e Turchia e dica, “speriamo che prevalga l’Italia il 2026”, fa un po’ ridere. Il guaio, però, è che di mezzo c’è una questione non trascurabile. E cioè la demolizione di San Siro, che seppure vetusto, rimane un’opera architettonicamente bella e il posto, peraltro, dove chiunque, in qualsiasi angolo, può vedere una partita come se fosse a casa.

Né Moratti, né Pisapia

Beppe Sala non è stato in questi lunghi nove anni né Letizia Moratti, della quale fu city manager, né il suo predecessore Pisapia, che era un brillante e colto penalista e che seppe capire, dopo un solo mandato, che la spinta propulsiva della sua azione era terminata. Sala ha mirato in alto. Ha pensato che la sua sindacatura gli lanciasse l’orbita di leader della coalizione progressista. Da liberal di sinistra, più liberal che sinistra, e con una sorta di eredità culturale di interpretare una tradizione solidale.

E’ vero che Milano è cambiata e che tante opere sono diventate strategiche, ma oggi non ha più la spinta di una leadership che guardi a nord e si colleghi con quei Paesi confinanti che hanno trainato l’Europa.

Una città che oggi fa paura

Che Milano oggi pecchi in sicurezza è “sentire comune”. Più di Roma. Incomparabile con Napoli, dove pure la presenza di extracomunitari non è indifferente ma è inglobata in un progetto di rinascita e di rivitalizzazione. Dinanzi a questo quadro, Sala ha sempre tergiversato. Come se gli si chiedesse di fare lo sceriffo, e di perdere quindi le simpatie della sinistra estrema. E’ rimasto obliquo, con un cerchiobottismo esasperato, finendo nell’epilogo tragicomico dell’asino di Buridano. Non sceglie se se bere o mangiare, come un doroteo che pensa a tirare a campare.

La pretesa di una leadership che non esiste

Eppure, Sala continua a occuparsi più di politica nazionale che di Milano. Si dice certo della sconfitta della coalizione in Veneto e Calabria e parla di contendibilità delle Marche. Vicaria di fatto la leadership di Schlein, pur non essendo organico direttamente al Pd, ma vivendo sulla complicità a sinistra. Ha perso la bussola del centro moderato, quella terra di confine che decretò il successo di Gabriele Albertini e poi della Moratti. Ma, cosa ancora più grave, sembra che stia li per conservare il potere fino a maggio 2027, per poi trovare una collocazione nazionale.

Il coraggio di lasciare

L’impressione è che, appunto, Beppe Sala sia più un ex sindaco che un amministratore in carica. Non serve elencare il rosario delle cose che rivendica o di quelle che non ha fatto. Dimettersi forse significherebbe ammettere un fallimento, ma gli restituirebbe l’onore di una scelta coraggiosa. Senza pensare o ipotecare il futuro della città. In fondo, un ciclo politico amministrativo dura 10 anni ed è per questo che il legislatore ha previsto solo un doppio mandato.

Né può essere un’inchiesta a condannarlo o ad assolverlo. Milano ha anticipato storicamente le grandi rivoluzioni italiane, dal Risorgimento, al potere liberale, alla nascita e alla morte del fascismo, ai primi esperimenti di coalizioni di sinistra. Questa capacità di laboratorio politico è dispersa. Non solo per colpa di Sala ma anche per colpa sua. Non è un caso se, per la prima volta nella storia, il Conclave che ha eletto il nuovo Papa non ha visto presente un cardinale di quella che era la curia più importante d’Italia. Trascinarsi ancora dietro il velo di un potere incedibile sarebbe un errore. Rifletta il sindaco. Fosse vivo Montanelli gli dedicherebbe un controcorrente ogni giorno. E nel dualismo andreottiano fra tirare a campare o tirare le cuoia può scegliere la terza via. Un posto in Parlamento non glielo negherà nessuno.

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di Mario Campanella - 22 Settembre 2025