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Gli 80 anni di Hiroshima, così il cinema ha raccontato l’apocalisse nucleare che devastò la popolazione giapponese

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Gli 80 anni di Hiroshima, così il cinema ha raccontato l’apocalisse nucleare che devastò la popolazione giapponese

Spettacoli - di Mattia Bene - 6 Agosto 2025 alle 18:52

Sono passati 80 anni dal bombardamento nucleare di Hiroshima, che fece sprofondare il Giappone in una scia di sangue innocente, anche a causa della decisione scellerata dell’allora presidente americano Harry Truman. Nel corso degli anni, tanti registi hanno scelto di impegnarsi per ricostruire quel dramma. Andando per ordine, la prima pellicola prodotta sul bombardamento atomico è stata quella di Norman Taurog del 1947, intitolata “La morte è discesa a Hiroshima”, in cui si racconta la costruzione del  famigerato “Little boy” a Los Alamos e il conseguente utilizzo.

Si tratta di un docudrama narrato in prima persona da Robert Oppenheimer e il Maggiore Generale Leslie Groves, che parte dagli intenti dei nazisti di costruire un arma nucleare e che prosegue nella riuscita della prima reazione nucleare a catena da parte di Enrico Fermi, nella costruzione del grande complesso a Oak Ridge in Tennessee e infine nella produzione della prima fornitura di plutonio; i test nel deserto del Nevada; infine il lancio su Hiroshima.

80 anni dalla tragedia atomica di Hiroshima : come ha reagito la cinema giapponese

Nel 1954 arriva nelle sale “Godzilla” di Ishiro Honda, un film con cui il cinema pop giapponese ha cercato un modo diverso e inquietante per elaborare il trauma: il rettile gigante e radioattivo che emerge dal mare è figlio delle bombe, allegoria vivente della distruzione. Le città distrutte, i corpi feriti e l’impotenza delle autorità rappresentano la paura reale di un popolo che aveva appena vissuto l’impensabile. Una pellicola che all’apparenza sembra semplice e che in realtà si è rivelato una grande parabola postatomica. Poi in “Rapsodia di agosto” del 1991 di Akira Kurosawa è stato scelto il silenzio come dispositivo di elaborazione del lutto. La trama riguarda una nonna sopravvissuta a Nagasaki che ha ospitato i suoi nipoti in estate e che è diventato un passaggio di testimone generazionale. Non c’è spettacolarizzazione, ma una dolcezza piena di dignità che trasmette la ferita come eredità silenziosa.

Il cinema occidentale con l’impatto di Hiroshima

Nel 1959 è uscito “L’ultima spiaggia” diretto da Stanley Kramer, tra i primi grandi film occidentali ad fronteggiare l’apocallisse nucleare con spirito drammatico e rassegnato. Il titolo diventerà un modo di dire comune, a riprova del profondo impatto sul pubblico e sui media. Nell’Australia che attende la morte, mentre l’emisfero nord è già stato cancellato, gli umani riflettono sul senso delle proprie azioni. È un film cupo, lento e pieno di lutto, che ha riflettetuto sul tempo che rimane quando non c’è più nulla da fare. Anni dopo, nel 1964, Stanley Kubrick ha affrontato lo stesso tema nel “Dottor stranamore, una dark comedy che dimostra come il pensiero della deterrenza possa condurre, per assurdo, alla distruzione totale. L’ironia diventa un urlo disperato, tanto che il finale è una delle chiusure più disturbanti e iconiche della storia del cinema.

In “Sindrome cinese” del 1979, James Bridges ha affrontato i pericoli dell’energia nucleare. Questo fu uno ei primi film di Michael Douglas assieme a Jane Fonda, che già all’epoca era famosa per le sue battaglie ambientaliste. Anche una celebre figura hollywoodiana come Jack Lemmon recitò nella pellicola di Birdges, aggiudicandosi il premio per per la miglior interpretazione maschile al 32esimo Festival di Cannes. Si tratta di un thriller in cui l’incidente in una centrale nucleare, che avviene davanti alla giornalista Kimberly Wells e del suo operatore, rischia di scatenare una catastrofe. Mentre le autorità cercano di minimizzare la vicenda, i due protagonisti combattono per rivelare la verità al pubblico, affrontando pressioni e minacce.

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di Mattia Bene - 6 Agosto 2025