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Radicalizzazione islamica in cella, l’esperta: “Violenza e ricatti nelle carceri minorili aumentano il rischio”

Pericolo anche online

Radicalizzazione islamica in cella, l’esperta: “Violenza e ricatti nelle carceri minorili aumentano il rischio”

Sono proprio i più piccoli che subiscono la fascinazione del fondamentalismo islamico, tanto che l'abbassamento dell'età di radicalizzazione «è un fenomeno evidente»

Cronaca - di Mattia Bene - 21 Luglio 2025 alle 13:02

«Il carcere è uno dei luoghi per eccellenza della radicalizzazione “faccia a faccia”, più delle moschee e dei luoghi di preghiera. L’altra via prioritaria è quella dell’autoradicalizzazione online». L’ha spiegato la jihadologa e consigliere scientifico della Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis) Elettra Santori, in un’intervista a Il Giornale. Tuttavia, «visto il tempo che si trascorre su internet, tra offline e online non c’è quasi più separazione, esiste un’unica bolla onlife in cui il virtuale fagocita la vita reale». Poi ha aggiunto che «dal punto di vista della radicalizzazione, questo significa che i soggetti fragili, in specie minori, che entrano in questa bolla non distinguono più il reale dal virtuale e si trovano a commettere reati senza neanche rendersi conto di quello che stanno facendo».

I minori rischiano la fascinazione della radicalizzazione islamica

Secondo l’esperta, sono proprio i più piccoli che subiscono la fascinazione del fondamentalismo islamico, tanto che l’abbassamento dell’età di radicalizzazione «è un fenomeno evidente». In particolare, «si stanno intensificando le notizie di minori arrestati per attività con finalità di terrorismo, che a loro volta possono introdurre nelle carceri dei focolai di contagio jihadista. C’era dunque bisogno di un intervento specifico per le carceri minorili, come quello pensato per il Beccaria». Nel penitenziario è stato introdotto un imam, Abdullah Tchina di 58 anni per sedare la radicalizzazione islamica: non si tratta di un fomentatore e né di un maestro della Sharia. La decisione è stata presa dal Viminale, dal ministero della Giustizia, dalla diocesi e dal Tribunale per i minorenni. Decisione però sulla quale in molti sono scettici.

Violenza e ricatti nel carcere aumentano il fondamentalismo

La violenza, la rivalità tra gruppi e i ricatti  nel carcere, secondo Elettra Santori, aumentano «certamente» il rischio di radicalizzazione. Tra le altre cause c’è anche il sovraffollamento che «crea divisioni tra gruppi in competizione tra loro per dividersi le scarse risorse disponibili. Sono tutte situazioni che inducono i detenuti più deboli a cercare protezione presso i soggetti più carismatici». In quel frangente «emergono gli individui più estremisti e con capacità di leadership, anche religiosa, che si propongono come guide morali e spirituali per i più vulnerabili». «In carcere il detenuto va incontro a un vuoto identitario che soggetti ultra-radicalizzati possono sfruttare per veicolare la narrativa jihadista – ha evidenziato la studiosa – questa condizione di fragilità personale è tanto più acuta nei minori detenuti, in cui alla vulnerabilità della detenzione si aggiungono le fragilità dell’adolescenza».

Le persone ultra-radicalizzate non vedono di buon grado un imam moderato

Nonostante le contromisure che un carcere più adottare per fermare la diffusione del fondamentalismo, «chi è ultra-radicalizzato, magari da lungo tempo, e ha esperienze di attività terroristica alle spalle, potrebbe vedere in un imam di nomina pubblica una figura non credibile». La guida religiosa verrebbe quindi considerata come il rappresentante di un islam corrotto e occidentalizzato. I minori radicalizzati però sono stati esposti per un tempo minore al verbo jihadista, quindi sono tendenzialmente più recuperabili».

 

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di Mattia Bene - 21 Luglio 2025