
Risate “scorrette” e incassi record. Angelo Duro “di destra becera” fa litigare “Repubblica” e “Il Fatto”
Il riso, si sa, abbonda sulle labbra degli storti, politicamente storti, quelli che pendono troppo e per troppo tempo nella zona d’interesse della destra italiana, quella (prendete fiato) becera, neofascista, razzista, immorale, divisiva, cattivista, rozza, barbara eccetera eccetera. Ecco perché il processo alle battute “politicamente scorrette” di Angelo Duro, che purtroppo per la sinistra fanno ridere, e non solo a destra, è iniziato come al solito dalle colonne dell’house organ del Pdmtsf, il Partito dei Moralisti tristi, solitari y final, pronto a reiterare il teorema delle menti fini, le loro, e di quelle azzeccate a plastilina, di chi non la pensa (e non ride) come loro.
In effetti, vedere una platea sganasciarsi quando Angelo Duro trasforma l'”auguri e figli maschi” in “auguri e figli gay” farebbe pensare a un’adunata neofascista, ma non è così: realtà batte fantasia e speranze anche laddove la vita è commedia. I teatri dove si esibisce il comico sono solo teatri, non arene politiche, ci vanno tutti, non esiste il politic-detector, è un dato di fatto, come lo è il suo record d’incassi al cinema. Ma ovviamente, Angelo Duro, per il solo fatto di non andare da Fazio, Gramellini o non aver ricevuto la benedizione di Nanni Moretti, come già accaduto a Checco Zalone, è diventato il bersaglio dei fini cervelli che a sinistra fanno le pagelle dei buoni e dei cattivi, magari ridendo in segreto sotto le mani portate al volto per simulare un dignitoso strarnuto, di sinistra radical-eccì.
Qualche giorno fa, su “Repubblica“, Stefano Cappellini – dopo aver bollato Angelo Duro come uno di destra, a scanso di equivoci – lo ha descritto come un comico che punta sul “risentimento e sulla frustrazione delle vite degli altri”, trasformando la cattiveria esibizionista in un marchio di fabbrica. “Battute contro ambientalismo, educazione, e buone maniere? Per Duro, tutto è lecito. E se qualcuno si offende, tanto meglio. Il suo ‘auguri e figli gay’ non ha nulla della leggerezza ironica di Zalone, che giocava con il pregiudizio per svelarne l’assurdità. Duro, invece, si limita a cavalcare stereotipi, come un Clint Eastwood con una sola espressione facciale”. Poi la conclusione: la destra italiana ha trovato in Angelo Duro un nuovo punto di riferimento culturale, quello che si vanta di essere “antipatico e cattivo”. Questo schema di “imbruttimento” al mondo segnerebbe una strategia per consolidare un’egemonia culturale, utilizzando l’intrattenimento per veicolare messaggi in linea con le proprie posizioni politiche.
Vabbè, poi uno si lamenta se Selvaggia Lucarelli si mette a scrivere per umiliare il prossimo, nel caso specifico il collega di “Repubblica” autore di un articolo che se declamato nel corso di un test alcolico alla guida, farebbe la felicità di Salvini.
“C’è molto più ammiccamento al pensiero vannacciano nei suoi editoriali che nel film del comico”, ha scritto un paio di giorno la Lucarelli sul “Fatto“, accusandolo di essere parte integrante di quella strategia (sic!) di sinistra, per regalare anni e anni di vittorie alla destra e alla Meloni. “Se fossi stata Giorgia Meloni, io il ministero della cultura l’avrei dato più a Cappellini che a Giuli o a Duro. Giuli, presunto intellettuale, suona il flauto di Pan in mezzo a un campo di grano. Duro, presunto comico del politicamente scorretto, è l’evoluzione cinica del Cinepanettone. Cappellini è la presunta sinistra e basta. Quella che incanta e trascina più gente a destra che il piffero magico di Giuli”, va di rullo asfaltatore la Lucarelli, che gigioneggia contro il malcapitato Cappellini, un assalto alla Croce Rossa che non si vedeva dai tempi dei Talebani in Afghanistan. Del resto, da sempre, Angelo Duro, educatamente rivolge un ringraziamento ai “moralisti, la categoria che più amo. È grazie a loro se faccio tutti questi numeri in teatro. Perché s’incazzano per quello che dico e mi fanno vendere più biglietti”.
Intanto, mentre si consumava la battaglia culturale a colpi di pesci in faccia tra i due giornali di area sinistea, nel Paese reale, nel we, nei cinema, “Io sono la fine del mondo“, la commedia con Angelo Duro scritta a quattro mani dal protagonista e da Gennaro Nunziante (regista dei film di Checco Zalone) batteva tutti i film “buonisti” facendo registrare incassi di milioni 841mila euro in 15 giorni. Il Duro monito di “Repubblica” ha scatenato la corsa al botteghino. Per vederci Duro.