
“Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura”: la nuova edizione presentata alla Camera
Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura. È questo il titolo del libro di Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, che ripercorre la storia del giovane militante del Fronte della Gioventù di Milano rimasto vittima, sotto casa, di un agguato messo in atto da un commando di universitari di Avanguardia operaia che, il 13 marzo del 1975, lo ha massacrato a colpi di chiavi inglesi. Sergio Ramelli morirà per le lesioni riportate il 29 aprile.
Il volume, di cui Idrovolante ha recentemente pubblicato la decima edizione riveduta ed ampliata, è stato presentato alla Camera dei Deputati presso la Sala Tatarella. La giornalista Annalisa Terranova, che ha moderato l’incontro, ha giustamente sottolineato, in apertura, il fatto che la dolorosa storia di Sergio Ramelli deve essere considerata parte della memoria non solo della destra, ma di tutti gli italiani.
Promotrice dell’evento il sottosegretario all’Istruzione Paola Frassinetti, che nel 1975 faceva parte del Fronte della Gioventù milanese ed ha vissuto in prima persona la vicenda di Sergio. Dopo aver letto una toccante lettera della sorella di Ramelli, Frassinetti ha raccontato la sua esperienza di militante di quegli anni, ripercorrendo nel dettaglio quanto accaduto a Sergio e tracciando un significativo quadro del clima di quel difficilissimo e violento periodo. Dopo il saluto del neo presidente dei deputati di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che ha fatto riferimento alla voglia di libertà di Sergio Ramelli, che ancora oggi deve essere onere e onore, per chi fa politica, portare avanti, ha preso la parola Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato e allora avvocato della famiglia Ramelli nei processi contro gli assassini del giovane. Ed è proprio da qui che è partito il suo intervento, ricordando che il segretario del Msi Almirante gli disse di indossare la toga in tribunale come parte civile per la mamma di Sergio e non per il partito, volendo che il giovane Ramelli non venisse considerato storia di parte, ma di tutti gli italiani. La sua storia, in altre parole, fin da subito sarebbe dovuta divenire simbolo e monito della lotta alla violenza politica tutta.
“Nel ricordarlo, nel cinquantesimo anniversario della sua morte, dobbiamo offrire il sacrificio di Sergio a tutta l’Italia”, ha detto La Russa. Ed ha aggiunto, con estrema lucidità e coraggio, che “se io non pronuncio la parola antifascista è perché, pur rispettando i partigiani che combattevano per una loro idea di libertà, non potrò mai essere accomunato all’antifascismo militante di chi, negli anni Settanta, andava sotto casa ad aspettare un ragazzo di destra”. Ancora, con uguale potenza, il presidente del Senato, riferendosi alla guerra civile non dichiarata che si combatté nei cosiddetti Anni di Piombo, ha detto che “non ci deve essere ricordo a senso unico” ed è chiaro che in quel clima di violenza ce n’è stata anche a destra, ma – chiede La Russa – “esiste un solo caso di violenza attribuita alla destra come quello di Ramelli che fu preso sotto casa con le stesse modalità? Io non ne conosco”.
Ha poi portato la sua testimonianza Paolo Trancassini, questore della Camera dei Deputati, che ha accennato anche alla situazione vissuta oggi dai ragazzi di destra aggrediti nelle scuole e nelle università, invocando anche nel nome di Sergio Ramelli la responsabilità di tutti. Alle sue parole sono seguite quelle del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, secondo cui “a noi oggi corre l’obbligo di guardare avanti, senza però disperdere il patrimonio di sofferenza che è non solo nostro ma dell’Italia intera”. Ricorda Rampelli, in proposito, che nella vicenda di Paolo Di Nella, militante del Fronte della Gioventù ucciso a Roma nel 1983, la sua comunità politica ha cercato di porre fine alla violenza “invitando la sinistra al dialogo, per superare gli anni dello scontro che tanto dolore avevano provocato”. Tornando poi all’attualità, il vicepresidente della Camera ha fatto riferimento alla possibilità di istituire una Commissione di inchiesta sulla violenza politica degli anni Settanta, che sarebbe importantissima perché “visto che le inchieste nella maggior parte dei casi sono ormai chiuse e non più apribili, noi abbiamo il dovere di spiegare cosa è successo in quegli anni, di arrivare alla verità. Dobbiamo prenderci la responsabilità, tutti insieme, di fare quel che serve per offrire alle famiglie dei ragazzi che hanno perso la vita non la giustizia nei tribunali, ma la giustizia storica”.
A sua volta Riccardo De Corato, oggi deputato di Fratelli d’Italia e nel 1975 segretario del Fronte della Gioventù di Milano, ha ripercorso con commozione i suoi ricordi di quegli anni, facendo cenno anche alla storia di Enrico Pedenovi, consigliere comunale missino di Milano ucciso dalle Brigate Rosse esattamente un anno dopo Sergio Ramelli. Dal canto suo Alessandro Amorese, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Cultura alla Camera ma anche editore e scrittore (ed in tale veste ha pubblicato un approfondito e documentato libro sulla storia del Fronte della Gioventù), ha posto l’accento sull’importanza di non fare differenza tra le vittime della violenza politica degli anni Settanta, anche se è pur vero che i morti di destra spesso sono stati considerati di serie B. Ed ha ricordato come il processo agli assassini di Sergio Ramelli, celebrato più di dieci anni dopo i fatti, è stato anche importante per le sue conseguenze, perché è stato un processo ad un’intera classe politica e sociale, quella che applaudiva in consiglio comunale a Milano alla notizia della morte di Ramelli. “La sinistra – ha concluso Amorese – ricominci per esempio da Walter Veltroni, che ha intitolato un largo di Villa Chigi qui a Roma a Paolo Di Nella, morto mentre affiggeva manifesti per riqualificarla. Ricominci da qui e prenda le distanze da chi, oggi, vuole riportare indietro le lancette dell’orologio ad un tempo di violenza e di odio. Sergio Ramelli, in tutto questo, è un simbolo di vita, di buona politica, di militanza giovanile pura. E così va ricordato”.
La moderatrice Annalisa Terranova, ringraziandolo, ha poi passato la parola a Francesco Lo Sardo, giornalista Rai che in gioventù ha militato ha sinistra e che ha aperto il suo intervento ricordando innanzitutto la grande differenza “che ancora avverto molto forte, tra il modo della destra di ricordare i propri Caduti e quello che c’è a sinistra. Noi non avevamo un vero e proprio ricordo dei morti, ma una semplice contabilità del loro numero. A destra, invece, c’era una comunità, in cui il ricordo assumeva toni più intimi e strazianti. A sinistra non c’era una comunità, ma un arcipelago di strutture diverse e anche distanti tra loro. In comune c’era la convinzione di agire in nome di un’ideologia che consideravamo invincibile, rispetto alla quale la violenza era solo uno strumento per abbattere il sistema. Abbiamo vissuto per anni la nostra quotidianità accanto alla morte”, sottolinea Lo Sardo. Che aggiunge: “Ramelli in qualche modo ci ha cambiato. Per esempio, immediatamente dopo la sua morte, i nostri dirigenti sciolsero tutte le strutture di servizio d’ordine. Certo, schedature ed azioni sono proseguite, fino però poi ad estinguersi lentamente. In quegli anni l’antifascismo militante era per noi il modo più facile per mantenere militanti. Era propaganda. Io – conclude significativamente Lo Sardo, facendo riferimento alla lettera che gli assassini di Ramelli, più di dieci anni dopo, inviarono alla mamma Anita – non avrei potuto far passare tanto tempo. Proprio per questo, e parlo anche a nome di tanti come me, dico che grazie al sacrificio di Sergio Ramelli molti di noi sono cambiati. Abbiamo capito che l’uso della violenza applicato all’azione politica è qualcosa di aberrante. E abbiamo imparato a vedere l’avversario. Ed è un grande salto, perché si esce dalla mostruosità che è la spersonalizzazione del nemico”.
A concludere l’appuntamento, vissuto con grande partecipazione da tutti i presenti, le parole di uno degli autori del libro, Guido Giraudo, che ha innanzitutto fatto notare come la storia di Sergio Ramelli sia un qualcosa di vivo, di attivo, “che ogni anno registra nuovi interventi e contributi. Mi hanno sepolto, ma non si sono accorti che era un seme”, ha detto Giraudo riferendosi a Sergio. “Ecco, da quel seme è nata una pianta ricca di frutti, fiori, di nuove possibilità e discussioni. Quella di Sergio – dice Giraudo rivolgendosi al pubblico più giovane – è una storia ancora attuale. Perché oggi c’è un nuovo conformismo, nuove parole d’ordine, di fronte alle quali bisogna affermare, come fece Sergio, la libertà delle idee. Ancora oggi c’è il rischio, esprimendosi difformemente dai dogmi del pensiero unico, di essere bollati con un’etichetta, alla quale poi potrebbe seguire la persecuzione. Ecco perché è fondamentale insegnare ai ragazzi a pensare con la propria testa. In questo senso Sergio diventa il simbolo non più solo del martirio politico, ma bandiera di lotta contro l’omologazione culturale. Ed esempio quotidiano, utile, vivo”.