Piano del Mare e legge quadro sulla Blue economy: il Mediterraneo al centro dell’agenda politica
La meritoria azione del governo che con la legge n. 204 del 2022 ha coinvolto ben undici ministeri, dieci esperti, centinaia di portatori di interesse in oltre ottanta audizioni, dando vita al Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare (Cipom) ha nel luglio del 2023, in soli quattro mesi, posto una pietra miliare approvando il Piano del Mare 2023-2025. Piano che indica la strada dell’interesse nazionale, in un’ottica vitale, vivace, rinnovata, in grado fare politica piuttosto che inseguire gli accadimenti globali e locali.
Il ritardo sul tema del mare era del resto atavico, generato da decenni di accezione terricola dell’Italia, posta dalla politica dei blocchi e dalla compiacenza di governicchi, a sud dell’Europa, piuttosto che al centro del Mediterraneo, dove invece è baricentrica nelle rotte commerciali Est-Ovest e in quelle Sud-Nord dei flussi di popolazione e di materie prime, tali da rendere il Mediterraneo un “Medioceano” decisivo in chiave economica e quindi geopolitica. Un globo terrestre tanto accelerato dalla tecnologia che pur di starci dietro deve ricorrere alla sua naturale essenza marittima, libera dagli addomesticamenti post Yalta. Un piano fattuale, che detta la linea, che dà identità all’Italia, avvicinandola al suo interno in termini di divario Nord-Sud, dove nel caso dell’economia del mare è il Sud a crescere maggiormente, oltre che avvicinando le frastagliate coste ad Ovest con quelle più sinuose ad Est. Un piano in grado di delineare un’Italia economicamente più coesa e quindi al tempo stesso più competitiva sullo scenario mondiale.
I numeri sono emblematici della sfida che il governo sta portando avanti. Il 90% delle delle merci e il 99% del traffico dati passa via mare. L’Italia è la terza potenza europea nella Blue Economy. Nel Mediterraneo si costruiscono l’80% degli Yacht di tutto il mondo e l’Italia ha il primato nella costruzione di natanti sopra i 12 metri. Il tutto lungo i suoi 8000 km di costa in grado di coinvolgere l’entroterra con le “filiere del mare”, 15 regioni bagnate dal mare ed oltre sessanta isole.
Affinché il piano sia un dato costante nell’agenda politica, attuato con appositi provvedimenti legislativi in Parlamento e con un’azione interistituzionale coordinata fra ministeri, nonché attuato delle istituzioni locali e dalle autorità competenti, in sussidiarietà col privato – come auspicato dal ministro per le politiche del mare e Presidente del Cipom Nello Musumeci – occorre che il piano giochi d’anticipo, comportando un nuovo atteggiamento culturale e agisca con la necessaria trasversalità, fin dalla prossima legge quadro sull’economia del mare, annunciata per il prossimo autunno dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.
L’anticipo è necessario per non subire gli eventi già in corso di accadimento, come il blocco di Suez, proprio quando i porti adriatici potrebbero essere meta della ricostruzione dell’Ucraina, le mire russe e cinesi o un’immigrazione con troppe micce accese. Giocare d’anticipo, pur in un ritardo decennale, causato non tanto da precedenti governi, ma da precedenti volontà che volevano un’Italia sempre subalterna. Giocare d’anticipo, inoltre, su una tecnologia e un’intelligenza artificiale che se hanno un limite lo hanno sul loro fabbisogno energetico che è ancora un tema super-marittimo.
La dimensione culturale è fondamentale per giocare d’anticipo. Dalle scuole primarie alle secondarie, alle università, ai master post universitari, alla formazione professionale, tutto deve essere ad appannaggio di una mentalità marittima che è interesse dell’Italia tutta. Una crescita blu che parta dai racconti per ragazzi, fino ai titoli professionali marittimi, fino alle nuove competenze che vedono nei manager dell’energia le nuove professionalità a vocazione marittima e nei manager della robotica le figure che troveranno nei porti la loro diffusa collocazione. Ca va sans dire per tutte le politiche per la sostenibilità.
Non da ultima è necessaria la trasversalità fra governi nazionali, singoli ministeri, tra le autonomie locali, le autorità portuali, gli stakeholders e soprattutto quei corpi intermedi, come associazioni di categoria, confederazioni, ordini professionali, virtuosi nella redazione del Piano del Mare, ma che devono ribadire il loro ruolo nella fase di attuazione, assieme alle risorse messe a disposizione, in modo che il dibattito rimanga vivo, costante, attuale, per fare dell’Italia quello che già è, partendo dal suo dato naturale di paese essenzialmente marittimo. In ciò il Cipom, voluto da Musumeci, sarà l’ente di raccordo, di coordinamento, pronto ad aggiornare il piano con cadenza triennale, annuale o all’occorrenza. Una strada obbligata. Affinché di questa generazione rimanga la parola M… M come mare e non già come ammoniva il buon Louis-Ferdinad Céline. Se sarà così avremmo fatto il nostro!