Gramsci e Gentile si danno la mano al convegno della Fondazione An: destra e sinistra a confronto
Egemonia culturale, intellettuali organici, casematte da presidiare. Categorie preistoriche o ancora declinabili? “Cultura woke” e Cancel culture” da una parte e narrazione conservatrice dall’altra? Ha senso il derby? Interrogativi suggestivi, soprattutto se, come nel convegno promosso dalla Fondazione Alleanza nazionale e dal Secolo d’Italia nella sala Koch del Senato, a fare da numi tutelari e ingombranti sono Antonio Gramsci e Giovanni Gentile. A duettare, provocati da Luca Telese, Claudio Velardi, direttore de Il Riformista (un passato di sinistra, ma “sono stato e spero di essere ancora 100 cose”, dice confessando di non votare almeno da 20 anni), e Francesco Giubilei, editore fuori dal coro mainstream e direttore scientifico della fondazione di via della Scrofa. Ad aprire i lavori Antonio Giordano, vicepresidente della Fondazione, che punta dritto allo spirito del convegno. Poi i saluti del capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan, del senatore Roberto Menia e del presidente della Fondazione An Giuseppe Valentino. A concludere il pomeriggio il presidente del Senato Ignazio La Russa.
Da Gramsci e Gentile, focus sull’egemonia culturale
Il senatore triestino prende spunto dal “primo bagno inclusivo” inaugurato nel suo liceo per dire che l’egemonia del pensiero unico esiste. “Siamo schiacciati sotto una cappa che uccide le identità (sessuale, nazionale) e che può essere superata con riferimenti come quelli di Gentile, la cui grande riforma della scuola è ancora un pilastro. Chi ammazzò il filosofo disse ‘non uccido l’uomo ma le idee’. Ma se oggi siamo qui è vero il contrario, è morto l’uomo non le idee”.
Un’eredità pesante e una lezione da superare
Valentino si concentra sull’eredità dei due massimi teorici dell’egemonia culturale del secolo scorso. “Parliamo di due uomini che hanno creduto nelle cose che facevano, nell’interesse della collettività. Hanno contributo alla crescita culturale partendo da visioni contrapposte. Il concetto di egemonia non mi entusiasma, mi stimola molto invece l’impegno civile”. L’augurio è quello di trovare “elementi di comunanza”. Telese parte con la prima provocazione: perché ciascuna forza politica crede di essere legittimata a interpretare l’egemonia culturale ma non ammette quella contraria? Si vuole la primazia e si denuncia l’accerchiamento degli ‘altri’. Succede alla sinistra con la paura della dittatura fascista e dell’occupazione meloniana, capita a destra che denuncia il pensier unico del woke. E ancora – chiede Telese – perché la sinistra nella sua storia ha tollerato gli intellettuali non allineati al partito, pensiamo al manifesto contro l’invasione dell’Ungheria che spaccò il Pci nel 1956, mentre la destra sospende chi non è organico?
A confronto Velardi e Giubilei moderati da Telese
Velardi non smentisce la sua verve ironica e disincantata. “Sono l’invitato sbagliato”, dice, “dove mi colloco?”. Per dire che le forti polarizzazioni politiche (“che non portano da nessuna parte”) non corrispondono ad altrettanti ideologie. Tagliando con l’accetta la discussione, il direttore del Riformista ammette che l’egemonia culturale è il grande tema di tutte le classi dirigenti che, una volta ottenuto il potere, devono consolidarlo e ampliare il consenso. Lo ha fatto il Pci, sulla lezione gramsciana, ma già agli albori degli anni ’80 con la laicizzazione della società e l’impatto dei media l’egemonia della sinistra si sfalda fino a lasciare il posto a quelle berlusconiana. Certo, si realizzò nel dopoguerra con i capisaldi di allora, dice Velardi cresciuto alle scuole di partito, con il cinema, il teatro, le case editrici, la scuola e le università. “Quando irrompono i nuovi media quella solidità si rompe. Rimane il potere culturale, la struttura ma l’egemonia culturale è un’altra cosa”. Quella è morta per sempre.
L’obiettivo della destra non è una contro-egemonia
A destra, invece, perché manca una narrazione condivisa, un’egemonia culturale? Telese stuzzica Giubilei con la sindrome di Calimero. “Se l’egemonia culturale viene teorizzata per primo da Gramsci a realizzarla è Gentile insieme a Bottai”, risponde Giulilei. Una forza d’urto testimoniata da riviste come “Primato” e “Critica fascista”, dalla capacità di riunire i frondisti del regime fine all’Enciclopedia Treccani, con migliaia di pensatori di estrazioni culturali diversissime. Con corollario di incursioni in campo avversario: Gentile, per esempi0, scrisse un libro su Stalin, apprezzato da Lenin. “Altro pregiudizio da sfatare l’assenza di una cultura conservatrice di destra, basta pensare a Prezzolini. Ma, a differenza della sinistra, non veste i panni della vulgata”. “A destra – ammette Giubilei – è mancata l’organizzazione della cultura, l’aggregazione intorno alla sfida conservatrice. Un terreno ancora da esplorare. “Ma l’obiettivo non deve essere contrapporre a un’egemonia un’altra egemonia di segno opposto. La sfida è dare corpo a una politica culturale da destra e non di destra. Mettere a fattore comune tutte le realtà che operano sul campo all’insegna della libertà”.
Il Pci ha perso l’egemonia, resta il potere
Telese insiste, “senza egemonia culturale quella politica è asfittica”. Quanto conta, come ha fatto Giorgia Meloni in tempi non sospetti, creare un proprio pantheon (la letteratura fantasy, Tolkien, l’epopea dei caduti degli anni di piombo al posto dei repubblichini)? Velardi è tranchant: “L’egemonia culturale della sinistra si è conclusa, è rimasto il potere. Ma c’è una realtà evidente: la sinistra nel mondo perde le elezioni, i democratici pensano di essere il sale della terra, i migliori fra tutti, ma poi i voti stanno a destra. Allora a che serve? Ecco il tema”. E il discorso scivola sulle polarizzazioni, l’arroccamento sulle identità contrapposte, la necessità di aprire i recinti, di cavalcare le praterie del pensiero. A Velardi non frega niente delle identità (roba vecchia) Giubilei distingue tra identità e ideologia. Quello che manca è il pluralismo, il concerto di voci. E lo si vede al salone del libro di Torino, alle principali kermesse e fiere editoriali, hanno tutte una chiara connotazione progressista. Parola d’ordine: riequilibrare. “Certo – conclude Giubilei – dobbiamo aprirci ad altri mondi, secondo la lezione in politica di Pinuccio Tatarella, tenendo come valore prioritario la libertà”.
La Russa: ora nessuno deve dare più patenti alla destra
Lo storico (e immotivato) complesso di inferiorità della destra è un concetto ripreso dal presidente del Senato, che arriva trafelato scusandosi per il ritardo. Dopo i ringraziamenti di rito La Russa ricorda la statura di Gentile (“che conosco meglio”) con la sua ‘egemonia illuminata’ e di Gramsci. “Gli intellettuali di destra ci sono sempre stati, ma dovevano essere graditi alla sinistra, così come per le donne che in passato hanno ricoperto ruoli apicali, penso a Nilde Iotti, lo hanno potuto fare perché gli uomini erano d’accordo. Ora la novità è che nessuno deve dare più patenti. A sinistra le casematte, per dirla con Gramsci, ci sono sempre state, ben occupate e ben presidiate. Oggi dobbiamo abbattere le casematte, aprirci al dialogo, non decidere tra una o l’altra verità ma dare voci a tutte le espressioni di pensiero”.