Il fratello dell’«infame»: storia di Roberto Peci, fucilato in piazza da innocente dalle Br

3 Ago 2024 19:19 - di Mario Campanella
Roberto Peci

Ha ragione Rita Dalla Chiesa quando ricorda che Roberto Peci, ucciso il 3 agosto di 43 anni fa, rappresenta una di quelle vergogne italiane finite nell’oblio, nonostante la cruenta esecuzione di un innocente che voleva fare il calciatore e che aveva la sola colpa di essere il fratello dell'”infame”, quel Patrizio che fu il delatore per eccellenza del gruppo e che fece smantellare, con le sue dichiarazioni, le Brigate Rosse.

Undici colpi al muro, come un criminale di guerra

Roberto Peci fu assassinato il 3 agosto 1981. Giovanni Senzani, l’allora capo delle Br, fotografò il momento dell’esecuzione, avvenuta con 11 colpi di mitra, in un casolare abbandonato nella campagna romana, in via Fosso dello Statuario. La durata della sua prigionia e le modalità della sua esecuzione coincidono con quelle subite da Aldo Moro, rapito il 16 marzo 1978 e ucciso il 9 maggio 1978, sempre con undici colpi di mitra.

Il rapimento come ritorsione per le confessioni del fratello

Roberto Peci fu sequestrato il 10 giugno 1981 a San Benedetto del Tronto da un commando di quattro terroristi. Secondo quanto scrive il fratello Patrizio nel suo memoriale, Roberto aveva davanti a sé una buona carriera di calciatore, ma dovette smettere proprio per le conseguenze che la famiglia Peci ebbe in seguito all’ingresso di Patrizio nelle file delle Br. Il rapimento del fratello di Patrizio, primo pentito brigatista, fu deciso dall’ala movimentista delle Brigate Rosse.

Dalla Chiesa: “Mio padre quel giorno pianse per Roberto Peci”

Rita Dalla Chiesa, oggi deputata di Forza Italia e figlia di Carlo Alberto, il generale che raccolse le dichiarazioni di Peci e che inflisse un duro colpo alle Br, ricorda quel giorno e la commozione del padre alla notizia dell’esecuzione: “Fu la prima volta che vidi piangere papà. Patrizio Peci si era fidato di lui, era l’unico con cui voleva parlare, fra loro si era stabilito come un rapporto di affetto, e quando gli uccisero il fratello mio padre si sentì quasi in colpa. È stato come aver colpito anche lui, con la più brutale delle vendette trasversali”.

Sei mesi dopo nacque la figlia Roberta

Nel febbraio del 1982 nacque Roberta Peci, la figlioletta che il giovane non poté mai conoscere e che porterà il nome paterno. Nel libro, “Io, l’infame”, il fratello Patrizio racconterà questa storia e la sua dimensione di vittima e carnefice. Ghettizzato come delatore, ma anche vissuto dalla società civile non nella sua funzione di prezioso collaboratore di giustizia per sradicare l’organizzazione terroristica più potente e forse più organizzata che l’Italia avesse mai conosciuto, punito come un mafioso, con l’uccisione di un congiunto che era del tutto estraneo alla lotta armata. Rinnegato anche dalla ortodossia dei partiti massimalisti: questo è stato il destino di Patrizio Peci.

Quei “compagni che sbagliano” e i conti mai saldati dalla sinistra

Di quella nebulosa stagione rimane la rimozione di un mondo di sinistra, soprattutto nelle sue dimensioni collaterali, che fatica ancora a prendere le distanze da quegli anni. Seppure il Pci era strenuamente schierato contro la lotta armata, l’idea iniziale era quella di poter recuperare “i compagni che sbagliano”. Ma l’attività delle Br, peraltro politicamente indirizzata ad abbattere il consociativismo, richiama alle radici del marxismo. Una costellazione variegata che influenza ancora chi, ed è successo pochi mesi fa, esprime elegie pubbliche nei confronti di personaggi come Barbara Balzerani e dimostra un’intolleranza e una disconoscenza dei fatti che sconfina nell’impunità dialettica.

 

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