La difesa comune europea non sia uno slogan vuoto: un progetto necessario ma con molte incognite

26 Mag 2024 10:30 - di Gianfranco B. Sangalli

Nel contesto di un mondo in rapida evoluzione, dove le sfide globali pongono sempre più pressione sulla sicurezza e la stabilità, sarebbe auspicabile che l’Unione Europea provasse a consolidare le proprie risorse e competenze in materia di difesa, in particolare nella prospettiva di un approccio strategico per una Politica Comune Europea di Difesa (PCED). Il 2014 segna l’inizio dei travagli interni dell’Ucraina, alle porte del Unione Europea. In questo contesto, nel maggio 2017 gli Stati membri hanno deciso di rafforzare la missione dell’Agenzia europea per la difesa (AED), rendendola l’operatore centrale delle attività legate alla difesa finanziate dall’UE.

L’Europa affronti unita le minacce esterne

Ma tutto questo si è rivelato ancora insufficiente; bisogna andare oltre: occorre creare una difesa comune europea che offra all’Europa lo strumento per la propria autonomia strategica e che le consenta di garantirsi i propri interessi nei giochi per plasmare la stabilità globale, rendendola attore chiave nella competizione internazionale. L’attuale scenario geopolitico presenta una serie di sfide complesse, dalle minacce cibernetiche o dal terrorismo, alle tensioni regionali. In questo contesto, la necessità di un’efficace Politica Comune Europea di Difesa emerge come elemento chiave per garantire la sicurezza e la stabilità dell’Unione Europea e dei suoi cittadini. La dispersione delle risorse nazionali e la mancanza di un coordinamento strutturato hanno reso evidente l’importanza di un approccio strategico unitario per affrontare tali minacce.

La possibile rivalità con la Nato

Un elemento centrale di un approccio strategico è la consolidazione delle risorse militari degli Stati membri. La creazione di una forza armata comune, integrata e interoperabile, può garantire una risposta tempestiva ed efficace a situazioni di emergenza.
In questo quadro, inevitabilmente, l’ipotesi di una forza armata europea autonoma fa sorgere diversi interrogativi in merito a questioni molto complesse: dalla definizione degli interessi comuni che servirebbero per stilare la dottrina strategica o dal fatto che questa forza comune avrebbe al suo interno una “golden share”, in quanto un unico Stato sarebbe in possesso dell’arma atomica, fino alle possibili conflittualità (sovrapposizione o disallineamento delle responsabilità militari) tra i ruoli e le funzioni della NATO e quelli di un ipotetico futuro esercito europeo.

Esercito europeo sì, ma salvaguardando le tradizioni nazionali

Un dialogo aperto e trasparente sulle intenzioni strategiche e le rispettive missioni, una definizione chiara delle aree di competenza e una sinergia nella pianificazione operativa sono elementi chiave per garantire che le due forze possano coesistere efficacemente.
Dunque, come si potrebbe articolare la creazione di un “Esercito Europeo”? Per chi considera l’identità un valore prioritario ci sono due premesse che condizionano l’esito positivo di un progetto di difesa comune europea: la salvaguardia delle identità nazionali e delle tradizioni storico-militari dei singoli Stati membri ad esse naturalmente connesse; quest’impostazione solo può reggere in un assetto europeo di natura giuridico-politica confederale, certo non in uno federalistico.

Cinque obiettivi strutturali e organizzativi

Poi ci sono degli obiettivi strutturali e organizzativi, necessariamente da fondare sul principio dell’equilibrio, per rendere praticabile una siffatta impostazione. Ad esempio: 1. Creare un preventivo unico per la difesa europea. Questo preventivo sarebbe utilizzato per finanziare le operazioni militari comuni, gli investimenti in infrastrutture militari e lo sviluppo delle capacità difensive. 2. Stabilire criteri percentuali per l’organico delle Forze Armate europee. Criteri percentuali basati sulla popolazione di ciascuno Stato membro da stabilire per determinare l’organico complessivo delle forze di terra, mare ed aria. 3. Istituire uno Stato Maggiore Generale Centrale. Uno Stato Maggiore Generale Centrale dell’Esercito Europeo, composto da rappresentanti delle forze armate nazionali e incaricato di coordinare le operazioni militari, la pianificazione strategica e la cooperazione tra gli Stati membri.
4. Normalizzare la cooperazione delle industrie armamentistiche nazionali. Le industrie armamentistiche nazionali europee sarebbero incoraggiate (anche con agevolazioni fiscali) a collaborare e coordinare le loro attività per soddisfare le esigenze e gli obiettivi fissati nel preventivo unico per la difesa europea. Questo dovrebbe includere la standardizzazione delle tecnologie, la condivisione delle risorse e la promozione dell’innovazione nell’industria della difesa europea.

Una dottrina strategica comune

In ambito Difesa comune, l’operatività efficiente e la rapida capacità decisionale investono sia il livello politico sia il livello militare.
In sede politica, innanzitutto, ci vorrebbe il consensus building per la definizione di una dottrina strategica comune, che tenga comunque anche conto degli interessi nazionali degli Stati chiamati a occuparsi delle aree geografiche di diretto naturale coinvolgimento; e un commissario europeo alla difesa, sempre politicamente responsabile davanti al Parlamento, che abbia a suo carico l’attuazione delle politiche dell’UE in materia militare, definite dal Parlamento e dal Consiglio, e della gestione del rapporto tra le diverse forze militari.

Uno Stato maggiore centrale con rotazione dei ruoli

In sede militare, come detto più innanzi, ci vorrebbe uno Stato Maggiore Generale Centrale, in logica confederale anch’esso espressione della diversità linguistica e culturale dei paesi membri dell’Unione. In questa sede avverrebbero la pianificazione, la preparazione e la conduzione delle operazioni militari, per cui sarebbe essenziale l’articolazione delle diversità attraverso una lingua franca di lavoro; uno staff per l’interpretariato simultaneo nelle riunioni e risorse di traduzione per garantire la condivisione di documenti; e la rotazione dei ruoli per promuovere l’inclusione e la partecipazione dei capi di stato maggiore generale di tutti i paesi membri.

Chi sarebbe il comandante in capo delle forze armate dell’Europa confederale?

Inoltre, è importante considerare che lo Stato Maggiore Generale Centrale dovrebbe concentrarsi su questioni di alto livello di strategia e pianificazione militare, mentre le decisioni operative e tattiche potrebbero essere delegate ai comandi operativi nazionali o a livello di coalizione (in virtù di una logica divisione geografica del lavoro) durante le operazioni militari. Per rendere il funzionamento al suo interno più snello e garantirne l’efficienza, si dovrebbero organizzare programmi di formazione e sensibilizzazione per i rappresentanti delle forze armate nazionali sull’importanza della cooperazione multiculturale e multilingue.

Il rischio di una eccessiva dipendenza dagli Usa

Ma tutto questo non dà risposta a delle domande fondamentali: chi sarebbe il Comandante in Capo di tali Forze Armate confederali? E chi il Comandante sul teatro di guerra? E, poi, così come la dipendenza politica, economica e commerciale dell’UE dagli USA fa sì che le decisioni della NATO siano attualmente condizionate dai desideri degli USA, cosa ci garantisce che, nonostante il divario talvolta esistente tra gli interessi geopolitici americani e quelli europei, delle future Forze Armate dell’UE non sarebbero influenzate dalla stessa dipendenza politica, economica e commerciale dagli USA? Insomma, non si possono nascondere né sottovalutare le enormi difficoltà insite in tale progetto, ma adducere inconveniens non est solvere argumentum; se vorremo annoverarci tra quelli che contano al mondo, bisognerà provarci.

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