Insulti volgari a Meloni, quale altro epiteto serve per scuotere il silenzio complice della sinistra?

3 Mag 2024 20:05 - di Vittoria Belmonte

Giorgia Meloni per ora non parla. La accuserebbero di vittimismo. Ma siamo nel pieno di una escalation di insulti che non passerebbe sotto silenzio in nessun paese europeo e occidentale. E nessun’altra donna sarebbe così presa di mira senza una reazione netta e durissima da parte di tutte forze politiche. Anche la sinistra non parla, con alcune lodevoli eccezioni che non coinvolgono le prime file.

Ci riferiamo all’indecente comizio di un rapper sconosciuto a Foggia con sfregio finale alla premier insultata con uno dei peggiori epiteti riservati alle donne. Unito all’accusa di fascismo, oramai divenuta un triste ritornello. Questi toni che indignerebbero in un paese normale partiti normali qui vengono invece tollerati, censurati, minimizzati. Si va dall’insulto politico a Meloni, “neonazista nell’animo”, con corollario di raccolta di firme per tutelare l’anziano intellettuale Luciano Canfora da una querela al rovesciamento delle foto: un triste richiamo a Piazzale Loreto di cui una sinistra degna si vergognerebbe. Invece da noi no. Il neo-antifascismo nostrano, dimenticando il padre nobile Togliatti che coi fascisti si accordò varando un’amnistia per recuperarli all’Italia libera, si crogiola all’idea del corpo del vinto appeso a testa in giù (Ferruccio Parri, tra i capi della Resistenza, deplorò lo spettacolo definendolo “macelleria messicana”). Triste destino capitato anche a Donato Carretta, su cui Walter Veltroni ha inutilmente scritto un libro. La sinistra legge poco, evidentemente, ma insulta molto. E brucia foto in piazza.

Una deriva cominciata nel 2021 con un tal professor Gozzini da Siena che utilizzò carinerie come “vacca” e “scrofa”. Gli fece eco Giorgio van Straten che sfoderò un altro repertorio umiliante: “peracottara”, “pescivendola”. In mezzo il “bastarda” di Roberto Saviano. Per giungere all’incredibile “stronza” pronunciato da un governatore di Regione. Per non dire della vignetta di Natangelo su Biden pedofilo e Meloni giocattolo erotico. Il filone si era nutrito ancora dell’epiteto “reginetta di coattonia” coniato da Francesco Merlo. Può bastare, immaginiamo, per restituire il senso di squallore della polemica politica orchestrata dai progressisti colti e intellò. Che ora hanno anche a disposizione la Chat dei Mille di Massimo Giannini per sfogare il loro risentimento.

Ma ciò che è accaduto a Foggia, dove è andato in scena il “celodurismo rosso”, supera anche l’immaginazione dei dissidenti più radicali. C’è solo una parola per definire quel comizio: schifo. E schifo per quelli che hanno applaudito. E anche per coloro che hanno taciuto e continuano a tacere. A costoro va ricordato un episodio recente, avvenuto nel marzo dello scorso anno: una scritta antisemita contro Schlein a Viterbo firmata con una svastica. Sia Giorgia Meloni che Ignazio La Russa espressero prontamente solidarietà. Dovrebbe essere una regola, più che politica, di civiltà.

A meno che tutto questo lessico infuocato, infarcito di anatemi e volgarità, questi rutti linguistici,  non abbiano lo scopo di farci scivolare indietro. Di far tornare il tempo delle contrapposizioni odiose. A meno che non sia una strategia per rimettersi gli eskimi impolverati e strumentalizzare qualche cretino in buona fede che si metterebbe a disposizione di rinnovate strategie di odio del “nemico”. Una china pericolosa. La domanda alla sinistra è a questo punto non tanto di condannare ma di domandare alle proprie coscienze: ne vale la pena?

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