Addio Bernard Hill, il “Re Théoden” di Tolkien: la maschera dell’eroe che diventa volto

12 Mag 2024 9:53 - di Paolo Di Caro

Ci sono mille modi per morire, ma alcuni di questi hanno un grande alone di misticismo che li circonda. È il caso della morte di Bernard Hill, settantanovenne interprete cinematografico di successo, come nel caso di Titanic, nel 1997, nei panni del Capitano Edward John Smith; ma certamente più famosi sono quelli del leggendario Theoden, diciassettesimo re di Rohan, Signore dei cavalli, figlio di Thengel e di Morwen di Lossarnach, personaggio nato dalla mente del creatore di mondi, John Ronald Reuel Tolkien, e portato sullo schermo da Peter Jackson nella celeberrima Trilogia de Il Signore degli Anelli.

Nei giorni scorsi il web mondiale è stato inondato da frasi tratte dal libro, accompagnate dal video iconico del discorso ai suoi Rohirrim, prima dell’entrata in battaglia dell’esercito di Rohan, nei Campi del Pelennor, durante la battaglia finale alle porte di Minas Tirith. Terminologia tolkieniana, luoghi fantastici, metafore ripetute sulla vita e, appunto, la morte.
Un necrologio senza fine quello per Theoden, nel quale la realtà si confonde con la fantasia e il volto con la maschera, un esperimento alchemico che riesce solo quando la potenza narrativa travalica il grande schermo e arriva al lettore-spettatore creando in lui un processo di totale immedesimazione, quasi di reincarnazione.

La notizia della morte dell’attore ha fatto il giro del mondo, diventando virale in una frazione di secondo. Pochissime sono state le condivisioni legate alla lunga carriera di Hill, moltissimi i meme e le memorabilia da campo di battaglia, gli spezzoni dal Fosso di Helm, il pathos del deus ex machina che chiama la carica con l’esercito schierato a difendere le ragioni degli eserciti del Bene, minacciate da Sauron. Muore il re di Rohan e con lui viene seppellita, idealmente, anche la sua spada, Herugrim, e sembra quasi di vederla al suo fianco, gelida e luccicante.

Milioni di fan in tutto il mondo per uno dei libri più letti, quasi quanto La Bibbia, hanno generato un fenomeno difficilmente spiegabile con i normali strumenti della sociologia e dello studio dei comportamenti umani: il professore oxfordiano ha creato un universo così perfetto da lasciarlo confondere con la realtà, disegnando i personaggi per poi dotarli di anima, rendendoli vivi ed immortali allo stesso tempo, in quel limbo nel quale storia e mito si confondono. Merito di Tolkien, certo, ma altrettanto di Peter Jackson, regista della Trilogia del Signore degli Anelli, a volte criticato dai puristi ma geniale nel tradurre in ore di cinema fantastico un immaginario complesso, fatto di metafore, allegorie, senso del sacro e potere della parola.

La seconda alchimia tolkieniana: una serie di tomi per potenziali iniziati, filologi e linguisti, si trasforma in materiale pop, attrae appassionati a ogni latitudine, riempie i festival di cosplayer con le vesti candide di Galadriel e le barbe pensose di Gandalf. Un fenomeno di costume, prima ancora che una pagina di letteratura. Per chi ha recitato nei film, spesso attori consumati, una benedizione e una maledizione allo stesso tempo. Eppure l’incredibile dimostrazione d’affetto nei confronti di te Theoden, un personaggio della cosiddetta “seconda fila”, ci restituisce la grandezza di un capolavoro fantasy, di un caso letterario.

L’addio di Bernard Hill è accompagnato, anche grazie a Theoden, da quella liturgia e quel senso del sacro, di rispetto della morte, di spiritualità guerriera, che ci spiegano perché, a distanza di anni, le saghe della Terra di Mezzo sbanchino le prime serate televisive, riempiano i Musei che accolgono la splendida mostra (voluta dal ministro Sangiuliano e curata in Italia da Oronzo Cilli) e rendano un evento ogni nuova realizzazione a tema tolkieniano. La morale? Sempre quella. Tutti a lezione dal Professore, ancora oggi, a cinquantuno anni dalla sua morte.

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