50 anni fa l’omicidio di Mazzola e Giralucci. L’intervento dei figli Piero e Silvia alla giornata delle vittime del terrorismo

9 Mag 2024 13:26 - di Redazione

Silvia Giralucci, presidente dell’Associazione ‘ Casa della Memoria del Veneto e figlia di Graziano Giralucci, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1974, ha aperto la cerimonia al Senato del Giorno della memoria delle vittime del terrorismo, alla presenza del presidente della Repubblica. Presenti anche i presidenti di Camera e Senato e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.  “Ho l’onore di condurre questa cerimonia – ha detto – perché ricorrono i 50 anni dalla morte del mio papà, Graziano Giralucci, ucciso assieme a Giuseppe Mazzola il 17 giugno del 1974 nella sede del MSI di Padova. Vorrei dire due parole anche su di lui. Aveva due grandi passioni: il rugby e la politica. Quando la sua vita – giovane perché non aveva ancora trent’anni – è stata interrotta, si stava impegnando nella campagna per il referendum che chiedeva l’abrogazione della legge sul divorzio. Lo faceva perché era convinto che il voto delle cittadine e dei cittadini avrebbe inciso sulla società, magari in un modo che io non condivido, ma quel che conta nella democrazia è stare all’interno delle regole, confrontarsi democraticamente, pesare le forze in campo correttamente, attraverso il diritto/dovere di voto. Ed è questo che vorrei che rimanesse oggi: l’immenso valore della democrazia contro la violenza”.

Piero Mazzola: abbiamo il dovere della memoria

Piero Mazzola, nel suo intervento, ha sottolineato il dovere della memoria: “Spesso durante questi anni ho immaginato di parlare con lui, aveva la sgradevole impressione di una amnesia collettiva, di una strisciante riabilitazione in luogo della damnatio memoriae cui i sette terroristi, condannati per la sua morte, avrebbero invece dovuto essere consegnati”. “Non si spiegavano altrimenti – ha proseguito -le attenzioni riservate agli stessi, come ad esempio: la paventata concessione della grazia alla vigilia della celebrazione del processo di appello; la nomina da parte di un Ministro a consulente ministeriale nonostante l’interdizione perpetua dai pubblici uffici; l’invito quali relatori a convegni patrocinati da qualche Consiglio Regionale; l’invito da parte di una sperduta sezione ANPI, fortunatamente subito ritirato, a consegnare attestati di partecipazione. Per avere contrastato efficacemente nel tempo tali fatti, siamo stati tacciati di essere dei vendicativi. Questo non ci ha minimamente scomposto”.

Un omicidio cinico, brutale e crudele

“Nel diritto romano – ha detto ancora Pietro Mazzola -costituiva causa di indegnità a succedere il non avere vendicato in giudizio, sottolineo in giudizio, l’uccisione del proprio padre. È semplicemente ciò che abbiamo fatto in fase di indagine ed in fase processuale, in modo da potere essere degni a succedere nel suo patrimonio morale. Nel 1992 con la sentenza della Cassazione si chiuse definitivamente il processo nel corso del quale nessuno degli imputati ebbe mai a mostrare effettivo pentimento o pietà per le due vite tragicamente troncate, perché con coraggio e a mani nude avevano tentato di disarmare i loro aggressori, che, tenendoli sotto tiro, volevano costringerli ad inginocchiarsi per poi incatenarli come animali. La Corte di Assise, al termine di una tormentata istruttoria, scrisse che si trattò di un omicidio cinico, crudele per le ferite particolarmente dolorose inferte, non necessario in quanto ormai inermi vennero finiti, mio padre con un colpo alla fronte e Graziano Giralucci con un colpo alle tempie”.

Mazzola: i nostri figli cresciuti indenni dall’odio

“Sono certo che se in un immaginario colloquio potessi chiedere a mio padre: “ne valeva la pena? “, sono altrettanto certo che, ancora oggi, senza alcuna esitazione risponderebbe: “sì ne valeva la pena”, ripetendomi che nella vita ci sono due cose che non potranno mai essere tolte; il fatto di essere nati ed il fatto di dover morire, ma che vi è una terza cosa che non potrà essere tolta a meno che uno non lo consenta, la dignità; dignità tanto cara ai nostri Padri Costituenti. Il tempo è tiranno e quindi chiudo con un sogno, il sogno dei miei fratelli e mio, che il loro coraggioso esempio contagi un po’ tutti noi e che, ciascuno nel proprio ambito, riconosca appieno la dignità dell’altro. Da ultimo una nota personale, l’orgoglio di avere cresciuto i nostri figli indenni dall’odio perché l’odio è morte”, ha concluso Pietro Mazzola.

La Russa: dal 1969 sono stati 15mila gli atti di terrorismo

I rappresentanti delle associazioni dei familiari delle vittime del terrorismo sono “custodi di una storia di sofferenza, dolore e riscatto che è la nostra storia. La storia di un’Italia che non dimentica”, ha detto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, prendendo la parola in aula in occasione della celebrazione del Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. “Potrei non fare nessun intervento – ha proseguito – dopo le parole di Silvia Giralucci. Sono stato avvocato di parte civile nel processo contro coloro che lo avevano ucciso quindi mi lega a quella vicenda anche un ricordo, una particolare sofferenza personale, ma la stessa sofferenza, lo stesso ricordo va nei confronti di tutti i familiari che hanno subito l’onta dell’assassinio, del ferimento, dell’aggressione da parte di uomini del terrorismo”. “Quello di oggi – ha sottolineato ancora La Russa – è un solenne appuntamento alla presenza del presidente della Repubblica e delle più alte cariche dello Stato per ricordare e tramandare pagine di una fase storica che ha profondamente segnato la nostra Nazione. Dal 1969, anno della strage di piazza Fontana, oltre quindicimila sono stati gli atti di varia natura legati al terrorismo che hanno causato centinaia di morti e migliaia di feriti. Una violenza feroce e così spregiudicata da creare nei cosiddetti ‘anni di piombo’ un diffuso sentimento di paura, sgomento e insicurezza”, ha ricordato il presidente del Senato.

Giralucci: non strumentalizzate mio padre

Silvia Giralucci ha parlato dell’omicidio del padre anche in una intervista al Corriere della sera. “Dopo cinquant’anni, di questa vicenda dovrebbero occuparsi gli storici e io dovrei sentirmi libera di andare a trovare mio papà al cimitero senza essere costretta a difendere la sua memoria dagli attacchi e dalle strumentalizzazioni”, ha detto.

“Per mio padre e Mazzola la strumentalizzazione è cominciata il giorno stesso in cui sono morti – racconta Silvia – Non sono state considerate due persone ma due fascisti, discriminati da chi li ha uccisi e da chi li spalleggiava, elevati a martiri dai loro camerati e amici. E dura ancora oggi, purtroppo”. In via Zabarella, la targa del Comune in ricordo delle prime vittime delle Br che ad aprile dello stesso anno, a Genova, avevano rapito e tenuto sequestrato per un mese il magistrato Mario Sossi, è incastonata accanto al portone del condominio, tra un’enoteca e un negozio di videogiochi.

Giralucci: così ho superato il rancore

“Ma l’hanno dovuta cambiare perché a forza di ripulirla dalle scritte offensive si era consumata – si rammarica Silvia Giralucci. E per appenderla al muro, togliendola dal palo dov’era fissata inizialmente, come fosse un cartello stradale, c’è voluto un bel po’ di tempo. Una professoressa di liceo che abita lì mi disse che volevano salvaguardare il palazzo non per ragioni politiche, ma perché temevano che l’edificio e gli appartamenti perdessero di valore. Dopodiché aggiunse: ‘E poi siamo sicuri che siano state le Br? Una docente di storia di questa città’ “. Solo quattro anni più tardi davanti alle immagini della strage di via Fani dopo il sequestro Moro, la mamma di Silvia trovò il coraggio di dirle: ‘Sono stati loro ad ammazzare tuo papà’. “Uno degli assassini era morto in carcere, gli altri si dissociarono e ottennero i benefici di legge, ma io ricordo la rabbia che provavo a vederli arrivare a piede libero, alcuni anche con i genitori, mentre io e mia madre eravamo sole”, racconta. “Sono riuscita a superare il rancore grazie soprattutto al volontariato in carcere con il gruppo di Ristretti orizzonti. Con i detenuti – racconta  – ho parlato delle conseguenze dei reati che restano per sempre, del loro debito con le vittime che non si estingue scontando la pena, ricevendo un ascolto per la mia storia che fuori non avevo mai trovato. Questo ha contribuito a responsabilizzare loro e a cicatrizzare le mie ferite; l’ascolto può aiutare a lenire il dolore delle vittime più di qualsiasi pena inflitta al colpevole”.

Giralucci: si dava per scontato che io fossi di destra

“Si dava per scontato che io fossi di destra – continua – forse immaginando che le idee politiche si trasmettono come il Dna, ma non è così. E io devo subire, ogni anno, i saluti romani e il tremendo rito del ‘Presente!’ ostentato per lo più da ragazzi che sanno poco o niente di quella vicenda. Un martire sceglie di morire per una causa, mentre mio papà era tante altre cose, non solo un giovane militante del Msi, dal quale peraltro s’era distaccato su richiesta di mia madre, tornando a frequentare la sede per via della campagna referendaria contro il divorzio. Ormai faceva soprattutto altro, e aveva una bambina piccola che lo aspettava a casa dopo il lavoro. Tutti me ne hanno parlato come di un uomo pieno di altri interessi, giocatore e allenatore di rugby, sempre sorridente e allegro. Il modo e il luogo in cui è morto lo hanno inchiodato per sempre a un’idea politica, come se l’istante impresso su una fotografia rappresentasse un’intera vita, ma non è giusto”. “Ridurre le persone a simboli e martiri serve a costruirsi un albero genealogico, a sentirsi a propria volta detentori di un credito. La logica del martire porta con sé quella del nemico, sono complementari, e così la memoria diventa un’arma da usare contro gli altri. Ma che cosa c’entriamo, io e mia madre, con tutto questo? Capisco che il mio cognome sia diventato anche un pezzo di storia d’Italia, ma certe celebrazioni io le vivo come un’usurpazione. Oggi servirebbe altro per omaggiare i caduti del terrorismo: una riflessione approfondita sulla violenza, su come si fa politica, sull’umanità degli avversari. Sarebbe ora, ma non so se sarà la volta buona”.

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