Saluto romano, la Cassazione: “Perché sia reato serve un concreto pericolo”
Il saluto romano in sé non costituisce reato. Perché lo diventi deve essere inserito in un contesto che rimandi concretamente o al pericolo della ricostituzione del partito fascista o all’espressione propria di gruppi che incitano alla discriminazione o alla violenza. È questo, in sintesi, quanto stabilito dai giudici delle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza che il 18 gennaio scorso ha annullato la condanna di otto militanti che avevano fatto il saluto romano nell’ambito del Presente per Sergio Ramelli, accogliendone il ricorso con rinvio.
Le Sezioni unite della Cassazione sul saluto romano
Nelle motivazioni pubblicate oggi, che riguardano un caso ormai prescritto, si legge che “l’integrazione del reato richiederà che il giudice accerti in concreto, alla stregua di una valutazione da effettuarsi complessivamente, la sussistenza degli elementi di fatto (esemplificativamente, tra gli altri, il contesto ambientale, la eventuale valenza simbolica del luogo di verificazione, il grado di immediata, o meno, ricollegabilità dello stesso contesto al periodo storico in oggetto e alla sua simbologia, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti, ecc.) idonei a dare concretezza al pericolo di ’emulazione’ insito nel reato secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale”. Ma c’è di più: i giudici sottolineano che, qualora “nonostante tutte le informazioni assunte permanga tale incertezza”, è opportuno “astenersi dall’azione”.
Il caso del Presente
I giudici poi si soffermano nello specifico anche sul saluto romano al Presente: anche in questo caso, è la valutazione del contesto a fare il reato. Vale a dire che “la condotta, tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla ‘chiamata del presente’ e nel cosiddetto ‘saluto romano’ integra il delitto previsto dall’art. 5” della legge Scelba “ove, avuto riguardo alle circostanze del caso sia idonea ad attingere il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. Dunque, per la configurazione del reato è necessario l’elemento cruciale della concretezza, non bastano le sole “manifestazioni esteriori del disciolto partito fascista”. Ugualmente i giudici pongono dei paletti rispetto al delitto, di pericolo presunto, previsto dall’art. 2 comma 1 della legge Mancino, che si configura “ove, tenuto conto del significativo contesto fattuale complessivo, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi” che hanno tra i loro scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
L’avvocato Di Tullio: “Le Sezioni unite confermano la necessità di verificare il concreto pericolo”
“Le Sezioni Unite – ha commentato l’avvocato Domenico Di Tullio, difensore di due dei ricorrenti – confermano l’indicazione della necessità di verifica nel caso concreto del pericolo per l’ordine costituzionale, che, se non può essere escluso dalla finalità genericamente commemorativa, richiede certo modalità e caratteristiche che esulano dalla circostanze usuali, composte e solenni, della cerimonia del Presente e dal saluto romano a fini commemorativi in essa adottato”.