Quindici anni senza Giano Accame: le sue “idee guida” oltre i confini tradizionali della cultura di destra
Ricordare Giano Accame, a quindici anni dalla sua scomparsa (15 aprile 2009), significa fare letteralmente i conti con la sua volontà “modernizzatrice”, non disgiunta però da un’organica visione culturale, in grado, ancora oggi, di offrire non pochi spunti di analisi. Intellettuale immerso nella Storia del XX Secolo e nell’attualità politico-culturale del nostro Paese, Accame seppe infatti accettare le sfide del cambiamento, senza perdere di vista le “radici” di un’Identità complessa.
A cominciare dal nodo-non-sciolto del rapporto con il fascismo, ma ben oltre esso. “È giusto che le generazioni del Duemila siano messe in condizione di poter guardare soprattutto avanti – scriveva in La Destra Sociale (Settimo Sigillo, Roma 1996) – senza continuare a caricarle di problemi, rancori, discriminazioni provenienti dalla prima metà del secolo. Ma non si può nemmeno privarle della storia e della facoltà di individuarvi elementi di continuità. La fuoriuscita dalla nostalgia fascista è tanto più credibile, quanto più è ragionata e selettiva: non un precipitoso abbandono suggerito dall’opportunismo”.
Per Accame fuoriuscire dalla nostalgia, spesso lasciata in balia del peggiore folklore d’ambiente, ha voluto dire interrogarsi rispetto alla complessità di una Cultura che andava ben oltre l’esperienza del fascismo Movimento e Regime e da lì immaginare nuovi percorsi “ricostruttivi”.
“Quando ai margini culturali di un movimento politico vi sono stati uomini come d’Annunzio, come Knut Hamsun, come Ezra Pound, il problema interpretativo che si pone non può interessare solo i simpatizzanti: esso è un passaggio d’obbligo per chiunque voglia veder chiaro nelle cose del suo tempo” – così Giano Accame, in un esemplare saggio dedicato al “Romanticismo” degli Anni Trenta (Contraddizioni di un Romanticismo a destra, “Dialoghi”, 1961) fissava il problema del rapporto tra cultura e fascismo, nell’ambito non tanto del Regime italiano quanto della più vasta intellettualità europea, vissuta a cavallo delle due guerre mondiali.
Su queste basi Accame articolò una serie di idee-forza, programmatico-culturali, che ne segnarono l’esistenza: dal presidenzialismo alla dottrina partecipativa, dalla critica del mondialismo alle “nuove sintesi”. Sono idee che andrebbero riconsiderate – da destra – anche in questa stagione “di governo”, proprio in ragione della loro grande attualità e della possibilità che offrono al mondo culturale (e di riflesso a quello politico) di costruire un nuovo “movimentismo”, a tratti “trasversale” e comunque utile per lanciare ponti (e dibattiti) ben oltre i confini tradizionali della cultura di destra.
Su questi crinali Accame fu un vero e proprio antesignano. Pensiamo al rapporto che ebbe con Randolfo Pacciardi, figura di spicco del combattentismo antifascista, con il quale, durante gli Anni Sessanta, condivise l’opzione presidenzialista, con l’elezione diretta del Capo dello Stato, quale risposta alla “degenerazione partitocratica” della vita pubblica e alla “confusione dei poteri”. Tra i firmatari del manifesto-programma del movimento pacciardiano “Nuova Repubblica” personalità eminenti della società civile, dai generali Raffaele Cadorna e Giuseppe Mancinelli all’ambasciatore Giuseppe Rossi-Longhi, da politici di orientamenti diversi (da Ivan Matteo Lombardo a Giuseppe Caronia, da Alfredo Morea a Salvatore Sanfilippo) fino a giornalisti come Tomaso Smith e lo stesso Accame, che nel 1966 divenne direttore del periodico “Folla”, organo del nuovo partito presidenzialista.
Tramontata l’esperienza pacciardiana, Accame fu vicino alla Nuova Destra, con richiami al neo comunitarismo, visto – come sottolineò egli stesso, in occasione del convegno “Costanti ed evoluzioni di un patrimonio culturale” (12-14 marzo 1981) – in alternativa agli orientamenti “che la vecchia destra ha sinora riservato alle strutture amministrative e politiche dello Stato, ai suoi organi elettivi ed ai suoi poliziotti”.
Dopo aver partecipato, il 27 novembre 1982, all’incontro, organizzato dal mensile diretto da Marco Tarchi Diorama Letterario, “Sinistra e nuova destra. Appunti per un dibattito”, assieme a Massimo Cacciari, Giuseppe Del Ninno, Giovanni Tassani e allo stesso Tarchi, Accame intervenne , il 31 maggio 1983 ad un convegno dell’associazione Italia e Civiltà, che radunò a Roma socialisti (Antonio Landolfi), radicali (Francesco Rutelli), missini (Umberto Croppi e Beppe Niccolai) e persino “fascisti di sinistra” avversi al MSI (Pacifico D’Eramo e Luciano Lucci Chiarissi, della rivista l’Orologio) e uno scrittore vicino a Berlinguer (Enrico Landolfi); tema dell’incontro, l’evoluzione dell’identità del PSI: segnatamente, la nuova attenzione socialista alla Nazione.
Come ha scritto recentemente Tommaso de Brabant (in Il Garofano e la Fiamma. L’incontro mancato tra Craxi e la Destra italiana, Oaks Editrice, 2024) “la partecipazione di Accame al dibattito fu l’anticamera alla pubblicazione del suo libro più noto, Socialismo tricolore, elogio da destra del PSI rinnovato e patriottico, nonché del craxismo, originale e promettente visione politica. L’attenzione di Accame nei confronti di Craxi non riguardava soltanto le idee: si rivolgeva anche alla concretezza. Alla svolta socialdemocratica impressa dal segretario Craxi al PSI e dal premier Craxi al governo; durante l’azione governativa del leader socialista, il giornalista loanese commentò con ammirazione il coraggio di Craxi nell’affrontare i “poteri forti” italiani”.
Sulla linea di una “destra sociale”, impegnata a coniugare mercato e lavoro, partecipazione e intrapresa, Giano Accame non a caso, sul finire degli Anni Novanta si trovò a condividere le scelte del Sindacalismo Nazionale, collaborando a “Pagine Libere”, il mensile della Cisnal, sempre riaffermando il valore della scelta partecipativa, più responsabile – scrisse nel saggio La partecipazione inattuata, in AA.VV., Partecipazione la società del Terzo Millennio, Dino Editore, 1995) – “di quella d’un azionariato vagante da un titolo all’altro alla ricerca di profitti immediati”.
Anche qui realismo ed aspettative rispetto ad un futuro da costruire, in alternativa ai nuovi poteri finanziari. Come stigmatizzò in Il Potere del denaro svuota le democrazie (Settimo Sigillo, 1997) raccolta di sei lezioni, tenute, nella primavera 1997, dallo stesso Accame, al corso di perfezionamento in Studi di valori giuridici e monetari, promosso dall’Università di Teramo, su iniziativa di Giacinto Auriti.
Al di là dei riferimenti contingenti, le analisi proposte, che offrono ancora una lucida fotografia dei processi di usurpazione democratica sono anche un invito ad individuare concreti percorsi di risposta, in ragione della novità del fenomeno “… rispetto alla vecchia ed ovvia constatazione – scriveva Accame – dell’influenza politica della ricchezza, della sua capacità di lanciare in carriera uomini di parte ad essa ossequienti e di comperarsi gli oppositori”.
Il nuovo “Potere” è ben più permeante rispetto ai condizionamenti di un tempo. È invasivo avendo di fronte non i partiti a struttura ideologica di un tempo, ma il cosiddetto no-party system, un sistema senza partiti o a struttura leggera. È globale, nella misura in cui a spezzarsi è la storica catena Stato-territorio-ricchezza. È incontrollabile non tanto o non solo per l’inadeguatezza degli Stati, ma per le tendenze della cultura economica liberista, che ha depotenziato ogni controllo.
L’invito a reagire – era l’indicazione di Accame – non basta, ma deve essere accompagnato dall’indicazione delle soluzioni, le “soluzioni” – si può dire oggi – in grado di rassicurare l’elettorato, di rendere ben chiare le vie d’uscita da un sistema dominato dal potere del denaro, a cui va opposto un sovranismo economico-sociale e politico “di governo”, fondato su un autentico trasversalismo politico. Per andare dove? Giano Accame ipotizzava – a chiusura del suo libro – “un progetto che associ chiunque, pur riconoscendo l’importanza spettante al denaro nel funzionamento della società, non si rassegni a consegnare al capitale finanziario le chiavi della città, la piena indivisa titolarità del potere, la scelta degli uomini politici e dei loro programmi attraverso l’investitura dei consensi attribuiti con i mass-media che la finanza controlla. Ad un progetto che difenda equilibri in cui il denaro giustamente conti, perché è importante. Ma insieme al lavoro. E non solo al lavoro e alla produzione, che possono essere intesi come l’altra sua faccia, ma anche al tempo libero, allo sport, alla scienza, alla cultura, all’arte, al sesso, che con le sue richieste di libertà si è imposto come nuovo importante soggetto della politica (su meno rivendicazioni sociali e nuovo permissivismo sessuale si basa il compromesso della nuova sinistra col capitale), all’amore, alla famiglia, alla patria, a Dio”.
Sulla base del “percorso” fin qui sintetizzato, si può dire che a Giano Accame bene si adatti l’invito/sfida che fu di Berto Ricci: “Non conformi non indifferenti ma in pugna coi tempi “! Anche qui un’idea guida a cui conformarsi, con chiarezza d’intenti e volontà costruttiva. Com’era nello spirito di Accame.