Giorgia e Elly, due donne leader alle prese con i vizi maschili della politica. Una con l’elmetto, l’altra no

11 Apr 2024 7:43 - di Annalisa Terranova

Più di una volta Giorgia Meloni ha detto che una donna deve faticare il doppio di un uomo per ottenere una gratifica. “Una donna deve fare ogni cosa due volte meglio di un uomo per essere giudicata brava la metà“. E se una donna si trova al vertice di un partito, quanta fatica le spetta? Non parliamo qui del consenso, che si misura in sondaggi, voti, applausi, calore umano dei sostenitori. Oggi si discute nuovamente di “questione morale” nei partiti, un tema ciclicamente ritornante nel post-Tangentopoli. E vi sono due donne a guidare i due maggiori partiti italiani, uno di destra e uno di sinistra. Ma attenzione: la questione più che morale potrebbe essere legata al modo maschile di fare politica. Nel senso che se una donna leader deve faticare il doppio è anche doppiamente esposta a pericoli e tali pericoli provengono, in definitiva, da apparati prevalentemente maschili.

Non vi è retorica femminista in questa osservazione, ma semplicemente la constatazione empirica che il potere attira gli uomini, e così la politica. Che nelle donne, idealmente, vuol dire dono disinteressato di sé e negli uomini a volte anche, ma con una certa sete di dominio che a un certo punto rompe gli argini. Guardiamo a ciò che è accaduto nel Pd e che sta travolgendo Elly Schlein. Sono stati i capibastone a metterla in difficoltà (è vero che a Bari si è dimessa un’assessora, ma era il marito che comprava i voti). Quelli che non intendono mai indietreggiare e che le fanno sorrisi e moine finché lei non li disturba e non pretende di oltrepassare il limite invalicabile che un tempo obbligava i sudditi a inginocchiarsi, proprio in quel punto, dinanzi al sovrano. Il limite che non può essere oltrepassato. E Giuseppe Conte perfidamente chiede a Schlein proprio di superare quel confine, liberandosi dei cacicchi che sono anche i portatori di voti. Sa che lei non può farlo, limitandosi a sbandierare un codice etico che non risolverà nulla.

E a sua volta chi è Giuseppe Conte? Un miracolato della politica maschile. Che una dopo l’altra ha abbattuto tutte le figure femminili che gli potevano fare ombra. Raggi, Lombardi, Taverna, Azzolina, Castelli. Oggi può vantare Alessandra Todde (peraltro scoperta da Di Maio) come fiore all’occhiello del M5S ma lei, consapevole del tentacolare narcisismo del capo, lo ha tenuto a distanza. E ha fatto bene. E non ci avventureremo qui nel manifestare il “sospetto” che l’attivismo delle procure sul voto di scambio sta di fatto favorendo il partito delle procure guidato proprio da Conte.

Torniamo alle due donne leader che più interessano in questa analisi. Meloni e Schlein. Giorgia Meloni ha continuato nella gestione di FdI il modello del partito leaderistico. Esso, a destra, si fonda su due elementi che non saranno mai messi da parte: la gratitudine e la fedeltà (il capo che “tradisce” non ha più alcuna possibilità di riabilitarsi). La destra era grata a Berlusconi perché aveva impedito la vittoria della “gioiosa macchina da guerra”. Era grata a Fini perché aveva portato l’ex Msi al governo. Ora è grata a Giorgia Meloni perché fronteggia tutto lo schieramento progressista con quella postura “virile” (“Meloni uomo dell’anno”) che la fa apparire forte e coraggiosa. Dunque stimata. Poi c’è la fedeltà al passato (non al fascismo ma alle radici, cioè il Msi). Altro punto che Giorgia Meloni si guarda bene dal trasformare, consapevole che è un elemento antropologico del suo elettorato che è inamovibile. Vi sono tuttavia insidie anche in questo modello. Innanzitutto il paternalismo. Con cui anche Schlein deve fare i conti (ricordate “zio Bersani” che la segue ovunque in campagna elettorale?). Diciamo che Meloni respinge tali insidie con più tenacia e convinzione della segretaria dem.

C’è poi, sempre a destra, la tendenza a considerare il capo (anche il capo donna in questo caso) come il genitore che perdona le marachelle dei familiari, siano esse grandi o piccole. E’ un modello che Giorgia Meloni ha più volte fatto capire di trovare indigeribile. Basti una frase della conferenza stampa di inizio anno: “Io non sono disposta a fare la vita che faccio se le persone intorno a me non sentono la responsabilità. Su questo intendo essere rigida”. Si parlava del caso Pozzolo ma potremmo estendere la frase anche alla questione morale, soprattutto alla questione morale. Terreno sul quale Meloni incontra certamente meno difficoltà di Schlein. E ciò perché appunto FdI è un partito tradizionale, fatto di apparati e di quadri dirigenti legati al territorio di appartenenza, ma è anche un partito leaderistico. Mentre il partito democratico è solo ormai un partito di apparato da anni alla ricerca di un leader che non trova.

Dunque, dinanzi ai vizi antichi di una politica troppo maschilizzata (fu un uomo a definirla “sangue e merda”, infatti) l’augurio a Elly Schlein è che si metta l’elmetto proprio come la sua avversaria premier. Acquistando finalmente consapevolezza che il nemico ce l’ha in casa, o a fianco nel campo “largo”,  mentre il nemico immaginario (il “fascismo”) è inesistente e inconsistente. Celebrare le donne in politica senza dare i consigli giusti, del resto, sarebbe altrimenti puro esercizio retorico.

 

 

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