Poche chiacchiere, su Schiavone vince la linea Meloni: rigore sul 41-bis e niente sconti ai boss

30 Mar 2024 13:46 - di Luca Maurelli

Facile dire, come ha fatto Saviano, che un po’ è merito suo, che lo Stato non può vantarsi più di tanto nel pentimento di Francesco Schiavone e che magari non gliene frega niente delle rivelazioni del boss (non si è spinto al punto di dire che magari teme che tiri in ballo qualcuno di destra, ma poco ci è mancato…). Ma poi, se nell’amore conta la musica e non le parole, come direbbe Benigni, in politica contano i fatti e non le “stories” su Instagram. Contano i fatti e contano i numeri, come il 41, il 41-bis. E lo zero, alla voce sconti di pena ai boss.

Perché tutto si può sostenere, per propaganda politica o personale, ma non certo che questo governo non abbia imposto, da subito, la linea dura sui regimi di carcerazione, ordinari e speciali. Dall’isolamento per i mafiosi, il 41-bis, per l’appunto, a cui mai è stato sottratto “Sandokan”, al carcere ostativo per i reati più odiosi.

Il pentimento di chi disprezzava, minacciava e insultava i pentiti di camorra, come la “Tigre di Casal di Principe” Francesco Schiavone, non è frutto di un impeto di onestà, di una presa di coscienza improvvisa o di una conversione mistica sulla Domitiana, quanto di una presa d’atto che senza una collaborazione con la giustizia, sconti o favorini dal governo non ne avrebbe ricevuti. Lo dice anche Raffaele Cantone, il giudice che fece arrestare Schiavone e che ha spiegato, in modo molto semplice, che il pentimento di Sandokan Schiavone “certifica la vittoria dello Stato”.
La conclusione politica, invece, la tira Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia: «Dopo 26 anni di 41 bis, finalmente ha deciso di collaborare con la giustizia. Il carcere duro funziona: non dobbiamo mai perdere la speranza di sconfiggere la mafia». Sulla stessa linea anche Chiara Colosimo, presidente della commissione parlamentare Antimafia:«Il pentimento di Schiavone rappresenta l’ennesimo durissimo colpo alla camorra e al crimine organizzato e la vittoria dello Stato che non ha mai smesso di contrastare un fenomeno criminale devastante per il futuro della nostra nazione».

Ma per capire dove nasce il pentimento dio Schiavone, dal punto di vista politico, bisogna andare agli albori del governo Meloni e rileggere qualche dichiarazioni della premier di un anno e mezzo fa da, quando a  Quarta repubblica su Rete 4, la presidente del Consiglio, commentando l’arresto di Matteo Messina Denaro, disse che principale latitante italiano «andrà al “carcere duro”», un regime che «esiste ancora» solo grazie all’attuale governo. Sostenere che sua merito di Saviano o del Buon Dio misericordioso se la “tigre” dei Casalesi s’è pentito, è una “perla” di faziosità. Una perla di Labuan.

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