Il libro. Gli antieroi del giro(ne) e una Catania “Ghotam”. Il noir politico di Giovanni Coppola

3 Mar 2024 9:30 - di Marta Certaldo

C’è molto realismo critico in “Bourbon in un giro di blues” (Algra, p.p 176,14 €), il nuovo romanzo dello scrittore catanese Giovanni Coppola: un romanzo sociale che si caratterizza, soprattutto, per le dure accuse al politicamente corretto, alla corruzione dei politici, all’ipocrisia di una certa antimafia e, soprattutto, a quel “tartufismo intellettuale” che si è materializzato durante gli anni di piombo e che generò indicibili bugie e terrificanti ingiustizie. Un romanzo rabbioso, ma anche esemplificativo, una ben realizzata fotografia lessicale dell’Italia di ieri e di oggi.

Potremmo pure definirlo un noir politico, popolato da antieroi che si muovono all’interno di atmosfere segnate dal degrado morale e da un cupo e ostinato disincanto. Affidandosi ad un linguaggio fruibile e molto godibile, il romanzo incatena il lettore nella fitta trama di violenza, inferni balordi, scorie di anni di piombo e solitudine a gradazione alcolica. E poi Catania, la città delle grandi periferie, degli spazi anonimi, affezionata alle sue contraddizioni, che si gioca l’anima sul tavolo verde del destino, un difficile libro di pietra dalla sintassi nevrotica, dalle metafore confuse, prive di significato e di significante.

A fare da palcoscenico è un pub, il “ Charlie Brown”, un microcosmo dove si incrociano i destini dei quattro protagonisti: Felix, il barman, che vive un amore impossibile per Aishia, una prostituta africana schiava della mafia nigeriana; Manero, il giornalista, che ha nell’amore per Isabella il suo inferno sbagliato, ma che si trova tra le mani una storia torbida di mafia e corruzione che cambierà il suo destino di cronista; Cirino, il malvivente, figlio di quelle grandi periferie, luoghi brutti che abbrutiscono, spazi privi di vitalità e socialità, chiusi nella loro degradata architettura iconica, ma che hanno i numeri e la forza di condizionare la politica e l’economia della città; il professore, un extraparlamentare di destra finito in carcere la prima volta per le sue idee e la seconda per non aver commesso niente, una figura ieratica che si concede lunghi flussi di coscienza, che sono, invero, decisi attacchi al potere dei politici, all’omologazione dell’informazione, all’inutilità del politicamente corretto, all’asservimento ideologico di una parte consistente della magistratura e ai metodi di inquisizioni sottilmente crudeli.

Non manca una critica al dominio del digitale e alla dittatura dei social, i quali imprimendo una velocità emotiva ed intellettuale hanno determinato non solo un cambiamento (in peggio chiaramente) sia sociale che antropologico, ma hanno recluso l’essere umano in una sorta di solitudine di massa sostanziata dalla paura dell’altro e dalla paura dell’attimo successivo.

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