Gli affabulatori ritratti di Cellini e Giotto tra quotidiano “scellerato” e animo d’artista

27 Mar 2024 15:03 - di Rocco Familiari
Masi Cellini Giotto

Qualcuno ha affermato che se il cinema fosse nato a colori e in “scope”, il progresso sarebbe stato lo schermo quadrato e il bianco e nero, e il caso di La la land, addirittura muto, premiato con l’Oscar, conferma in pieno l’originale tesi. Si potrebbe dire la stessa cosa per l’editoria d’arte, iniziata con immagini riprodotte con tecniche incisorie (Le Vite degli uomini illustri del Vasari del 1550 e soprattutto la seconda edizione “illustrata” del 1568) e via via, man mano che i progressi tecnici lo consentivano, con le prime foto al nitrato d’argento, dei veri capolavori, o quelle in bianco e nero ritenute tuttora dai connoisseurs insostituibili strumenti di studio, soprattutto ai fini delle attribuzioni, basti ricordare gli splendidi nudi di Cranach che corredano la monografia di Zervos (il fondatore dei Cahiers d’art), e poi le fedelissime riproduzioni a colori, a volte più vere del vero (la rivista e i volumi di un editore come Franco Maria Ricci). L’evoluzione perciò, stando al paradosso utilizzato retoricamente per il cinema, condurrebbe a libri senza immagini, ma ricchi di contenuto e godibili come un (bel) romanzo. Il riferimento non è casuale…

Masi rilegge vita e arte di Cellini e Giotto

L’editore Neri Pozza ha avviato una collana, “I colibrì-Il tempo storico”, nella quale sono usciti, nel 2022 e nel 2023, due “volumi d’arte”: il primo dedicato a Giotto e il secondo a Cellini. Assolutamente privi di immagini, salvo quelle in copertina. Entrambi dovuti alla penna (meglio, alla sontuosa tavolozza linguistica) di Alessandro Masi. È raro che la capacità affabulatoria si trasferisca intatta sulla pagina, come se, nella traduzione dalla oralità alla scrittura, la parola perdesse smalto. Questi libri sono entrambi una felice eccezione. Dando per scontato il rigore dell’indagine storiografica dello studioso Masi, ciò che colpisce è il suo talento narrativo e l’eleganza del linguaggio, qualità che lo fanno entrare di diritto nel Gotha dei grandi storici dell’arte. I quali sono stati e sono tutti anche dei finissimi letterati e dei raffinati scrittori: da Roberto Longhi a Ragghianti, per citarne qualcuno. A Zeri, anche a Sgarbi (non sempre, data la quantità industriale di scritti che produce). Per non dire dei vari Panofsky, Riegl, Wölfflin, Gombrich, perfino il disinvolto (nel campo delle attribuzioni…) Berenson.

La critica d’arte moderna

Tutti coloro cioè che hanno creato la critica d’arte moderna. Tant’è che nelle storie della Letteratura dovrebbe essere riservata, a mio parere, una congrua sezione proprio a tale categoria. I due artisti, oggetto della ricostruzione di Masi, a parte le differenze per così dire “strutturali” (di epoca, ambito operativo, personalità) ne hanno una attinente alla quantità di notizie biografiche disponibili, pochissime per l’autore degli affreschi della Cappella degli Scrovegni, sovrabbondanti per Cellini, avendo egli lasciato, oltre ai noti capolavori – la famosa Saliera per Francesco I e soprattutto il Perseo commissionatogli da Cosimo de’ Medici – i due Trattati sulla scultura e sull’oreficeria, tuttora preziosi, e un’autobiografia, ricchissima di dati, sincera fino all’autolesionismo. È lo stesso autore, nel proemio alla sua Vita, a dichiarare assiomaticamente che: «Tutti gli uomini di ogni sorte, che hanno fatto qualche cosa che sia virtuosa, doverieno, essendo veritieri e da bene, di loro propria mano descrivere la loro vita».

Sulle orme di Giotto tra storia e animo virtuoso

E a tale programma, Cellini si è attenuto fedelmente, inaugurando un genere che ha dato alla storiografia, e qualche volta anche alla letteratura, opere a volte imprescindibili per la ricostruzione di un personaggio o di una vicenda. Ma anche lavori di totale inutilità, quando gli autori, per nulla «veritieri e da bene», pretendono, autoreferenzialmente, di aver fatto «cosa che sia virtuosa», che virtuosa invece non è affatto. Masi si è trovato perciò a dover affrontare due situazioni completamente diverse, per le quali ha, coerentemente, utilizzato metodologie differenti: per il “Giotto”, una minuziosa ricerca di tutte le fonti disponibili e la ricostruzione, sia della temperie in cui il pittore ha operato. Sia delle vicende personali. Ricomponendo i vari frammenti con la stessa abilità necessaria a mettere insieme le migliaia di pezzi di un immenso puzzle. Da sola, la “storia” del pittore Giotto, sia pure ricca di episodi leggendari, non sarebbe stata sufficiente a riempire il vuoto che, per quanti sforzi la migliore critica abbia fatto e faccia, comunque resta.

Quelle curiosità sull’artista incastonate nel contesto culturale dell’epoca

Tutti, o quasi…, ricordano gli episodi salienti: il cerchio dipinto a mano libera con un solo gesto sicuro. Il disegno delle sue pecore – era, com’è ben noto, pastore – che  suscitò l’ammirazione di uno sconosciuto passante, rivelatosi poi per il maestro Cimabue di cui divenne allievo, e che avrebbe superato, sorte toccata a tutti coloro che hanno avuto la “sfortuna” di avere per discepoli dei geni: vedi Verrocchio con Leonardo, o il Perugino con Raffaello. La mosca, dipinta con tale realismo sul quadro di Cimabue, che questi si affannava a voler scacciare, e così via. Tutti insieme gli aneddoti, comunque, a prescindere dalla loro attendibilità – quello della “mosca” è pura invenzione vasariana – non fanno, ripeto, una biografia. Masi ha collocato perciò l’opera del sommo pittore trecentesco nel contesto culturale dell’epoca, i cui protagonisti assoluti sono stati senza ombra di dubbio, insieme con Giotto stesso, Dante e Francesco d’Assisi. Da questo accurato lavoro emerge anche qualche scoop, come il fatto che Giotto, il quale si faceva pagare bene, in tarda età facesse l’usuraio.

Una curiosa digressione su Bacon…

Peraltro anche Michelangelo pretendeva adeguati compensi, come del resto tutti i grandi artisti consapevoli di sé. Oggi è il “mercato”, entità concreta eppure astratta, a fissare il valore di un artista. Ma può accadere che all’alta quotazione di quella suprema… “entità” (dietro cui si celano spesso abilissimi finanzieri che tirano i fili di quell’intreccio mostruoso fra musei, artisti, o sedicenti tali, e gallerie private, contro cui si batte inutilmente da anni un critico impegnato come Jean Clair) non corrisponda un reale guadagno per l’autore delle opere trattate. Riporto una testimonianza personale che riguarda il più grande pittore del Novecento, Francis Bacon, il quale, nel corso di una cena a Londra, il 1° febbraio del 1967 – eravamo suoi ospiti, mia moglie e io, andati a trovarlo per acquistare un suo autoritratto – ci confidò che, malgrado i suoi quadri venissero venduti a prezzi stratosferici, lui non aveva il denaro sufficiente per andare a trovare la madre che viveva in Sudafrica. Non si trattava di una rapina…, ma aveva accumulato un tale debito per tasse non pagate che, per evitare di finire in prigione, era stato costretto a stipulare un accordo per cui la sua galleria, la Malborough, doveva versare l’intero ricavato delle vendite al Fisco che, per ogni ghinea (cinque sterline circa), lasciava a lui un penny… La storia – e dell’invito a cena e della “povertà” di Bacon – è talmente incredibile e romanzesca…, che l’ho raccontato non in un reportage, ma appunto in un romanzo, Per interposta persona, edito da Marsilio nel 2017.

Un ritratto a tinte forte di Cellini

Per il “Cellini”, invece, Masi ha operato creando una sorta di controcanto al… “canto” costituito dall’autobiografia dell’artista “maledetto”. Ed è sorprendente come abbia adattato la sua prosa fluente, a tratti debordante per l’entusiasmo del narratore che ha la meglio sulla sobrietà dello storico, al ritmo di quella celliniana. Qualche assaggio a caso, ma ovunque prelevati, i bocconi sarebbero altrettanto gustosi…: l’Incipit, intanto, in cui descrive il Ritratto di uomo con la barba della Biblioteca reale di Torino, che potrebbe essere un autoritratto del pittore: «Capelli arruffati e barba incolta, sguardo da duro e labbro in posa. Questa faccia da ribaldo ci racconta di un uomo fin troppo sicuro di sé, certamente un amante delle sfide. Sprezzante del pericolo. Sempre pronto alla rissa e allo scontro». Basta la scelta di espressioni come «labbro in posa», o di un aggettivo, oggi desueto, ma che qui riacquista vitalità, «ribaldo», a far capire di quale ricchezza sia l’impasto linguistico di cui dispone Masi. E più oltre definisce meglio il ritratto: «Violento, attaccabrighe, lascivo, sodomita, scommettitore incallito, ludopatico, gran chiacchierone, spaccone o ciarlatano che fosse, quello Scorpione, occupato da Marte, aveva picchiato proprio duro sulla sua testa marchiando il suo destino».

Il metodo di Masi tra analisi e racconto

Mi pare che oggi anche i… nipotini di Auerbach o gli strutturalisti più fanatici, non si crogiolino, come in passato, nella ricostruzione del metatesto, del paratesto e così via. Ma non c’è dubbio che, senza attribuire a tale tipo di analisi una valenza maggiore di quella che ha, è sempre efficace per un attacco ai lati… I titoli dei vari capitoli, ad esempio, sono una spia del metodo usato da Masi. Nel caso del “Giotto” ha preposto a ciascuno di essi una citazione che, tutte insieme, formano una sorta di trama storico-letteraria su cui si innesta poi il “ricamo” della ricostruzione biografico-artistica. A cominciare, ça va sans dire, dalle vasariane Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti. Per finire con il Cantico delle creature di Francesco. Ma avendo chiamato in causa nomi obbligati (Dante, Petrarca, etc. ) e altri invece pescati dal “magazzino della memoria” (come lo definiva Voltaire, il quale aggiungeva che dal grado maggiore o minore di informazioni accumulate, dipende una maggiore o minore imagination, quella che trecento anni dopo sarebbe stata invocata come unica fonte legittima del pouvoir), che nel caso di Masi è ben fornito…, ed ecco un brano del Centiloquio di Pucci. O un’iscrizione tombale (quella di Enrico degli Scrovegni, committente dei celeberrimi affreschi); o Il libro d’arte del Cennini, o ancora il Commentarium di Benvenuto da Imola.

Per il “Cellini” è andato oltre (e indietro), utilizzando, con vero godimento – non fa nulla per nasconderlo – la maniera. Di questo si tratta, di una vera e propria maniera, di cui esempio mirabile e forse insuperabile è il Don Chisciotte – titoli che sono dei résumé ironici, utili a introdurre il lettore nell’atmosfera del periodo e della vicenda raccontata. Anche qui solo qualche esempio: «Nato nel segno dello Scorpione – Del quadro astrologico e di quando Benvenuto Cellini il 3 novembre del 1500 venne al mondo da Giovanni d’Andrea e di Cristofano e da sua moglie Elisabetta Granacci».  Ancora: «O angiol bella, o angiola degna – Allorché va a una cena tra amici e si accompagna con un giovane spagnolo di nome Diego che si traveste da donna ma viene smascherato e fa penitenza e di poi, scoperte le meraviglie delle grottesche, sfida a gara uil maestro Caradosso, e vince».  Oltre che divertenti, sono anche un’astuta esca… Difficile infatti, dopo aver letto epigrafi del genere, resistere alla curiosità di sapere il resto…

Il libro di Masi: una perfetta sceneggiatura

È strano che il cinema non abbaia sfruttato la biografia celliniana come ha fatto con quella di altri artisti, Caravaggio, Michelangelo, Van Gogh per citarne alcuni famosi. O, più di recente, il quotatissimo pittore tedesco Gerhard Richter (Opera senza autore, diretto da Florian Henckel von Donnersmarck). A parte alcune pellicole d’antan – di Méliès del 1904, di Capellani del 1908, uno di Freda del 63, tutti di grande… insuccesso – il solo regista che si sia cimentato nell’impresa con adeguati mezzi e buoni risultati è Giacomo Battiato che nel 1990 ha realizzato un film, adattato anche per la tv in tre episodi, con un cast di tutto rispetto: da Max von Sidow a Ben Kingsley, alla Sandrelli, a Fantastichini, a Pamela Villoresi, utilizzando proprio l’autobiografia del pittore dalla “vita scellerata” (così il titolo del film). Il libro di Masi è (anche) una perfetta sceneggiatura per chi volesse portare sullo schermo, in modo adeguato, una figura per tanti versi fuori misura: fisicamente era un Rambo dell’epoca… e, dal punto di vista dei comportamenti, quasi una drag queen, con l’ostentazione della sua omosessualità in un’epoca in cui era un delitto punito severamente. E per il quale fu più volte imprigionato o dovette fuggire per mettersi in salvo (Luigi Greci nel ’30 ha pubblicato, con Bocca, un’accurata ricostruzione di tali vicende nel volume: Benvenuto Cellini nei delitti e nei processi fiorentini ricostruiti attraverso le leggi del tempo).

Da Masi, un marchio di fabbrica che affabula, sorprende e avvince i lettori

Il personaggio è stato invece utilizzato meglio dai musicisti, da Berlioz e Saint-Saens, i più illustri. A minori, Lachner, Meurice, etc.. Con una presenza sorprendente, il Kurt Weill, famosissimo per la sua Dreigroschenoper, che ha composto un Musical su Cellini dal titolo The Firebrand of Florence, dato nel ’45 a Broadway con la mitica Lotte Lenia, la musa di Brecht, nonché moglie dello stesso Weill, nel ruolo della Duchessa. Masi è ora impegnato nelle ricerche per un nuovo volume su un altro celeberrimo, quanto misterioso, pittore. Sono certo che troverà certamente il modo, pur restando fedele al suo metodo – un marchio di fabbrica di successo – di sorprendere ancora una volta. E avvincere i lettori.

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