C’è uno spettro eco-folle e minaccioso che incombe sulla Capitale: si chiama “Ztl fascia verde”

25 Feb 2024 13:25 - di Andrea Venanzoni
ztl fascia verde

Il brigante greco Damaste, meglio conosciuto con il nome di Procuste, in agguato lungo la via sacra percorsa dai pellegrini e dai viandanti che si recavano da Atene a Eleusi aveva ingegnato un perverso metodo di esecuzione e di tortura dei suoi prigionieri.

Dopo averli rapinati li stendeva su di un letto, o a seconda di alcune fonti su due letti: se gli arti del malcapitato sporgevano, li amputava, se invece risultavano troppo corti li tirava con un marchingegno fino ad allungarli innaturalmente.

Il letto di Procuste è divenuto epitome di un modello di riduzione della differenziazione e della complessità a modello unico, indice di schematismo rigido, impenetrabile e che imprigiona e semplifica la realtà.

Non casualmente proprio a questo mito si è ispirato Nassim Nicholas Taleb, grande studioso della incertezza, del caos e del caso, per coniare una lunga serie di aforismi incentrati sul modo in cui spesso ci auto-inganniamo, o veniamo ingannati, per mandare giù bocconi amari sul lavoro, sulla politica, sul funzionamento della società.

Non c’è alcun dubbio che la narrazione ideologizzata con cui viene presentata l’emergenza climatica, e soprattutto i presunti strumenti di contrasto alla stessa, sia un enorme, crudelissimo letto di Procuste che confonde un tema vero e serissimo con una agenda politica dentro il cui ventre gorgogliano fini che con il clima hanno poco a che vedere.

D’altronde mentre l’Occidente tutto è pervaso dal mantra dell’escatologia climatica, da leggi sempre più severe e draconiane, da accenti sempre più umbratili e crepuscolari concernenti il dramma che l’essere umano si avvierebbe a sperimentare, con non banali sfumature di colpevolizzazione dell’uomo occidentale, secondo quanto riporta l’Associated Press nell’articolo “World carbon dioxide emissions increase again, driven by China, India and aviation”, del 5 dicembre 2023, due sono stati i top player dell’inquinamento e nessuno dei due è occidentale.

Proprio questo aspetto conferma la profonda matrice pregiudizialmente ideologica di certe politiche. Mentre chiunque adombri la minima, articolata, motivata critica a determinate politiche pubbliche più o meno draconiane adottate nel nome della santificante causa della lotta al climate change viene variamente silenziato o condannato con infamanti epiteti come quello di ‘negazionista’, rimangono fuori dall’orizzonte e dal discorso pubblico i due giganti asiatici.

Che si sia in presenza di un autentico letto di Procuste ideologizzato, quando ci si riferisce a determinate politiche, appare cristallino nel momento stesso di emersione della violazione di un elementare canone logico-razionale e giuridico; quello di differenziazione, nel cui nome fattispecie quantitativamente e qualitativamente diverse dovrebbero essere affrontate con modelli regolatori diversi, adeguati ai contesti e ai casi concreti.

L’Unione Europea con il suo Nature Restoration Law, inserito in una super-ideologizzata agenda green, ne è stato caso di scuola.

Una normativa iper-centralizzata, incapace come tale di diversificare funzionalmente ed efficacemente a seconda delle differenze morfologiche, di impatto economico e territoriali dei vari Paesi su cui andranno a dispiegarsi gli effetti della normativa.

Certi modelli proposti, autentici letti di Procuste nel cui nome sacrificare eguaglianza sostanziale e logica e che tanto consenso ad esempio riscuotono tra i sindaci della sinistra, sono generalizzazioni spesso del tutto grottesche.

Prendiamo ad esempio l’arci-nota ‘Città in 15 minuti’; un modello di sviluppo, progettazione e realizzazione che dovrebbe avvicinare i servizi al cittadino, limitando così la necessità di spostamenti e l’utilizzo inquinante dei veicoli.

Classico caso di politica pubblica che dovrebbe essere adeguatamente modellata sul tessuto planimetrico di una data città, sulla sua estensione, sui carichi antropici, sui principali flussi veicolari.

Detto in termini brutali: la città in 15 minuti può forse essere realizzata in città planimetricamente meno estese e dotate di un robusto, efficiente sistema di trasporto pubblico, ma appare irrealistico e sloganistico parlarne in città elefantiache e contraddistinte da patente disfunzionalità del trasporto.

Ovviamente, e non stupisce, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la sua Giunta a guida PD, si sono attrezzati per importare il modello anche a Roma.

È stato persino istituito un Dipartimento ad hoc, che tra le varie funzioni esercitate ha pure l’ingrato compito di disegnare una Roma a misura di cittadino e con servizi da raggiungere in più o meno 15 minuti. Per chiunque viva il caos romano, una barzelletta.

Ma una barzelletta grama, e che fa poco ridere. Perché testimonia la guerra totale che si vuole condurre contro lo spostamento veicolare e quindi contro le esigenze spesso vitali degli stessi cittadini.

A volte, queste politiche si embricano con la sicurezza e la salute pubblica, diventano sostenibilità e la risultante è sempre una produzione, costante, di divieti, sanzioni, limiti, scoraggiamento, in parole povere vessazione del cittadino.

Caso di scuola, in questo senso, l’esperimento dirigistico della città a 30 km/h di Bologna, dove i limiti di velocità sono stati sì pensati per vegliare sulla sicurezza dei cittadini e limitare la sinistrosità stradale ma anche, si legge, “promuovere la mobilità sostenibile (a piedi, in bici e coi mezzi pubblici), ridurre l’inquinamento, i consumi energetici e il rumore, fluidificare il traffico senza aumentare sostanzialmente i tempi di percorrenza, rendere meno stressante l’esperienza di guida in città, favorire un miglioramento e una distribuzione più equa dello spazio pubblico, favorire le relazioni di prossimità e il commercio di vicinato”.

Un libro dei sogni del tutto ideologizzato, e poco male se si dovessero creare ritardi, allungamento dei tempi, caos viabilistico.

Il letto di Procuste rende evidente come laddove la realtà dovesse divergere dai desiderata ideologizzati, tanto peggio per la realtà: la si sminuzza, la si destruttura, la si modifica.

Prendiamo ad esempio lo spettro verde e minaccioso della “ZTL fascia verde” che incombe su Roma, nel nome di ambiente e salute pubblica; un anello che precluderà, e in parte già preclude, la circolazione a una vastissima serie di veicoli.

Progetto che risale ad un tempo lontano, era prima il 1999 e poi il 2015, ma che solo con Gualtieri ha avviato la sua piena implementazione, pur tra oscillazioni e rinvii, cagionati dall’apocalisse fattuale che la piena realizzazione determinerà.
La realtà della realizzazione del progetto è infatti il caos.

E pure qui, tanto peggio per la realtà. E per i cittadini. Certo, dietro ci sono le spinte sanzionatorie della giustizia euro-unitaria, esigenze anche comprensibili, ma quale sarebbe l’alternativa realistica e vera per i bisogni sociali dei cittadini chiamati a spostarsi?

Qualcuno davvero immagina che alla luce della enorme estensione della Capitale, dello stato pericoloso in cui versano le sue strade, un individuo possa muoversi per andare a lavoro o all’Università o a scuola in bicicletta o in monopattino?

Perché questa enorme fascia protetta coinvolge una parte considerevole della città e non solo il mero Centro storico; dentro di essa potranno accedere solo auto elettriche e di ultimissima generazione.

Si capisce bene che implicherebbe un servizio pubblico di trasporto che costituisca seria e fondata alternativa all’automobile, ma non credo sia nemmeno necessario rimarcare in quale stato versino i mezzi pubblici di Roma.

Specchio perfezionato di come e quanto certe misure siano lotta spietata contro il principio di realtà e contro la libertà dei cittadini.

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